sabato 24 dicembre 2011

Memento Mori


Il re nero era immobile, seduto sul suo trono. L'alfiere e i due cavalli raccontavano, come un fiume in piena le ultime vicende accadute. Erano terrorizzati, più per la reazione del loro signore che per gli accadimenti. Il re nero restava immobile, senza proferire parola alcuna, poi, dopo l'annuncio del rogo di Cavour prese la parola:” Com'è possibile, che 4 individui, tra cui uno schizofrenico ed un estremista religioso, siano riusciti a mettere in scacco la mia organizzazione? Avevo ordinato a Saluzzo di eliminare il nipote del filosofo e invece me lo ritrovo sempre in mezzo...””Vede mio sire abbiamo...”l'urlo perentorio del Re mise fine alle scuse che l'alfiere tentava di porre. “Silenzio e basta con queste idiozie, che fine a fatto la mia torre? E' lui il traditore? Quel maledetto tedesco la pagherà cara, voglio la sua testa, chiaro?” velocemente gli individui lasciarono la stanza, tirando un sospiro di sollievo per essere sopravvissuti, poi, da una porta secondaria, giunse lei, la bellissima Regina bianca: “Mio signore, cosa vi rende così adirato?” sussurrò la donna con una voce soave. “Niente, Caterina. Ma dimmi, come può un uomo potente come me temere quel falso prete, discendente di Nietzsche?”La donna gli si avvicinò, posizionandosi alla sua sinistra e riprese a parlare:” Mio Signore, nessuno può contrastare il vostro potere e poi finchè io sarò al vostro fianco voi sarete immortale...” Un sorriso macabro apparve sul volto deturpato del Re Nero, ma nessuno poté vederlo...

La furia di Novella


È un vero mistero come il Demonio trovi tanti adepti in Terra, quando è scritto chiaramente nei Vangeli e nell'Apocalisse che il loro presunto Idolo malefico è destinato alla sconfitta da parte del Giusto, ed essi non potranno che ardere per sempre nella loro dannazione.
Non per questo, però, noi uomini di Chiesa dobbiamo essere intransigenti con loro: “punire il peccato, salvare il peccatore” è il nostro credo. Per questo, prima di arderli vivi in espiazione delle loro colpe, pretendiamo il pentimento (ed è ben piccola cosa il rogo di un momento di fronte a quello eterno)(accidenti come sei poetico, ndr)
Eppure, ci sono scellerati che ci chiamano “ottusi”. Uomini che a volte camminano con noi. Ci chiamano ottusi, invece di ringraziarci. “Ottusi”, quando essi stessi si sono allontanati dal luogo d'indagine, senza nessun costrutto se non quello di farsi accusare di tentato assassinio (e poi, ovviamente, tocca a noi “ottusi” salvarli, e se non sacrifichiamo a questi scellerati i nostri principi la prendono a male); senza nessun costrutto, se non quello di essere quasi uccisi senza estrema unzione, se noi “ottusi”, sempre noi, non li avessimo fatti seguire da un valoroso inviato (chi Joaquin? Pure valoroso è diventato?, ndr), conoscendo l'inettitudine di codesti pretenziosi, che, accecati dall'orgoglio, non riescono a distinguere il saggio dallo stolto, il retto dall'errato.
Ma sono certo che, presto o tardi, Adolf si getterà nell'ennesima follia, e non troverà la mano salda di un “ottuso” a salvarlo, così come siamo soliti. La mia speranza è che, prima, si sia pentito di cuore. Ma, se è vero che “quos deus perdere vult dementat prius” (coloro che Dio vuole perdere, prima li fa impazzire NdA), Adolf sembra già sulla buona strada...di certo è già stato accecato dall'individualismo più sfrenato. Oppure, ci sta tradendo.
La mia preoccupazione è che, presto, le sue azioni scellerate e incontrollate ci possano mettere in guai tali da risultare irrisolvibili.

Salvato, comunque, per l'ennesima volta Adolf dalla sua scelleratezza, ci siamo avviati verso Grinzane Cavour, il luogo di provenienza di troppe bottiglie di vino trovate nelle case dei Decussi e di coloro che erano collusi con loro.
Fummo accolti con una certa gentilezza dal prete del luogo, palesemente inetto, che probabilmente credette alla nostra storia, secondo la quale eravamo di sosta nel viaggio verso la Liguria, e ci portò subito dal Barone, nel castello: costui era un vero e proprio cafone, ma non privo di una certa ferina scaltrezza, perché, pur ordinando di accoglierci (come avrebbe potuto esimersi, davanti all'autorevolezza di un Inquisitore e di un Templare?), si attivò subito per occultare le sue blasfeme attività, come presto avremmo scoperto.
Mentre stavamo cenando, più che egregiamente, con il prete, infatti, il mio olfatto sviluppato percepì un odore peculiare, un fumo greve. Guardando dalla finestra, vidi che un comignolo del castello fumava più nero degli altri, pur nella penombra. Non appena il nostro ospite si assentò un attimo, lo comunicai ai miei compagni, e decidemmo di compiere una discreta ispezione, con la scusa di un'innocente passeggiata. Invece, individuata una finestra non sorvegliata, scivolammo dentro il castello, e presto, procedendo in direzione del caminetto che fumava, arrivammo alle stanze del Barone. Adolf fu il primo a vederlo: era solo e stava bruciando dei documenti. Ovviamente, non pensò all'ipotesi di agire di squadra per catturarlo: preferì fare irruzione nella stanza e, quando il Barone provò a fuggire, non trovò di meglio che sparargli. Adolf sostenne di avergli voluto colpire le gambe per impedirgli la fuga, ma ciò risulta poco credibile, dato che usò il fucile a canne mozze, e difatti uccise il nobiluomo, che cadde dalla finestra. Io mi dispiacqui per l'uomo, perché non ebbe tempo di pentirsi. Ma, forse, avrebbe confessato qualcosa che Adolf non voleva che sapessimo...
Nella stanza, comunque, non trovammo molto: il Barone aveva fatto in tempo ad ardere una gran mole di documenti, salvammo solo alcune lettere, già bruciacchiate, che ci riguardavano: il Re Nero ordinava di ucciderci, era interessato a Joaquin, e intimava di punire la parte deviata della setta liberando la Creatura (evidentemente, la Scannatrice). C'era anche una lettera a nostro favore, nella quale si diceva di rimandare la nostra condanna; mentre le altre erano scritte a macchina, però, questa era vergata da una mano femminile.
Qualcuno, dunque, ci proteggeva nell'ombra? Forse la sorella di Joaquin, che da sempre egli va cercando?
Non c'era tempo per analisi e disquisizioni: da fuori provenivano urla disperate, il Barone si era già risvegliato come Ferox, molti combattenti faticavano a tenergli testa. Scendemmo verso il piano terra, con l'intenzione di aiutare i vivi, ma notammo una scala che portava ai sotterranei: il nostro dovere ci imponeva di non trascurare quella pista, ora che la confusione ce la apriva. Come avremmo potuto immaginare data la vocazione enologica della zona, la cantina era colma di botti. Non tutte, però, servivano a far fermentare il vino: sospettosi, bussammo su tutte, fino a trovarne una vuota. La aprimmo, con un meccanismo segreto, e presto ci ritrovammo in una stanzetta ottagonale. Nel centro, in un sarcofago rituale, giaceva la Scannatrice, inattiva. Subito io e Fratello Celestino ci gettammo su di lei e la riducemmo a brandelli senza che lei si muovesse: senza un apposito rito che la risvegli, una Scannatrice è solo un inerme fantoccio.
Poco lontano trovammo un'altra stanza rituale, ma purtroppo i libri magici erano stati asportati. Ne avevamo abbastanza per denunciare la setta: risalimmo, scassinammo la porta della stalla nella quale era tenuto (lo avevamo immaginato) il carro funebre, e, presi alcuni cavalli, ci dirigemmo verso Torino, lontano dalle guardie che, fatto a pezzi il Barone, ci cercavano.
Tornammo poche ore dopo alla testa di un gruppo di Templari, che mi permisero di installare, come mio sacro diritto, un tribunale inquisitorio per giudicare gli eretici.
Dodici soldati e servitori del Barone risultarono, ad ogni evidenza, colpevoli di aver seguito l'eresia del loro signore per interesse. Dopo una breve tortura lo confessarono e dissero di essersi pentiti. Spero per loro che fossero sinceri. Li condannai al rogo.
Il prete inetto, che confessò (con poche sberle di Fratello Celestino) di aver appoggiato il Barone per interesse, in cambio della sua nomina a prete, ma negò di sapere della setta, ebbe una pena più lieve: trenta frustate. Sono al limite della sopportazione, per un uomo della sua costituzione: sarà il Signore a giudicare se egli dovrà sopravvivere.
Ai contadini, mi limitai a prescrivere un mese di penitenza e preghiera.
I Templari mi chiesero di processare anche Adolf, che in mezza giornata li aveva portati a completa esasperazione, ed in effetti si poteva condannare come indemoniato. Ancora una volta deve la sua vita a un ottuso, in quanto gli offrii la possibilità di votare la sua vita alla Chiesa, come converso. Forse, oltre al corpo gli salverò anche l'anima.

Quando ci allontanammo, dodici roghi stavano ancora arrossando il cielo con gli ultimi bagliori.

mercoledì 21 dicembre 2011

Vivono tra noi


Stolti uomini di chiesa!
Un villaggio li accogli, un po’ di gente li esalta, un prete li ospita. E’ una scena già vista a San Ezechiele. Ora siamo a Vicus Novus ma è solo cambiata la regione… la storia NO! Loro si fanno abbindolare da due filastrocche di chiesa e si danno alla festa e alla gioia. Le mie personalità multiple sono in subbuglio… qualche cosa non va! Il mio istinto mi dice di agire.
Lascio tutti festeggiare, e mi allontano. Uscendo un’ombra attira la mia attenzione e capisco che qualcosa non va. Non ho tempo di avvisare gli altri, il coraggio e l’abilità non mi mancano, l’istinto mi dice di agire.
Seguo l’ombra e ad un tratto un palazzo esplode. Un muro crolla e vedo macchinari per la stampa. Come pensavo questi paesani con un po’ di ospitalità cercavano di renderci ciechi.
Ma ad Adolf non lo si fotte!!!( e lui a fottere, ndr.)
Ad un tratto tutto passa in secondo piano Heinrich corre fuggendo dalla casa. Lui è dietro tutto questo! Lo inseguo la resa dei conti è arrivata.
Ad un tratto, non so come sia stato possibile, lui riesce a prendermi di sorpresa. Mi sento afferrare per il collo è sollevare. Lo guardo e mi domando come è possibile mi abbia preso alla sprovvista e soprattutto come faccia a sollevarmi con tanta facilità. Inizia a mancarmi il fiato e sento la sua mano gelida. E’ UN MORTO!
Non so che creatura sia, ma ormai la mia vita e perduta. Dice che si è stufato che il nostro gruppo lo intralci.
Ad un tratto una voce amica arriva alle spalle di Heinrich, è Joaquin che gli punta la pistola alla testa! Gli intima di lasciarmi. Un esplosione rompe lo stallo e Heinrich mi scaraventa con una forza inaudita e non umana e fugge.
Torniamo al centro del paese. Sono sconvolto. I paesani sono furiosi con me, mi accusano di aver ferito Giancarlo. Non sanno e non possono capire che è stato Heinrich. Accenno la mia storia a Novella e Celestino, ma Novella è troppo preso dalla sua teologia e non vuole accettare di perdonare la menzogna di Don Beppe che in cambio ci promette di lasciarci andare via del paese senza problemi. Per di più per ogni minuto che passa da un vantaggio a Heinrich. E’ troppo ottuso per capire che un morto pensante e pericoloso è libero di girare su questo mondo.
Dopo una trattativa estenuante e la mia vita appesa solo alla sua scelta in quanto i paesani volevamo linciarmi finalmente trova un compromesso. E’ tardi comunque ritrovare Heinrich sarà difficile…
L’unica parte di me felice è il numero 66 il predicatore jugoslavo Anton Sparlovic che sogna una società senza distinzione tra vivi e morti dove tutto è eterno (vedi. Post “Ne resterà soltanto UNO”). Anton ritiene che se nessuno si è accorto che Heinrich è un morto magari come lui ce ne sono altri. Forse alcuni di questi possono diventare nostri amici e compagni.
Che bellezza sapere che “vivono tra noi”

lunedì 19 dicembre 2011

L'intrepido Fra Novella


Esiste il concetto di male maggiore e male minore, oppure il bene e il male si oppongono? Se incontriamo sulla nostra strada un male che appare minore, è legittimo trascurarlo perché ne vogliamo punire uno che ci pare più grave? Molti risponderebbero senza dubbio, ma è proprio con la teoria del male più grande che il Demonio trascina molte anime nel peccato, e se noi Inquisitori stessi ci lasciamo deviare dal nostro incarico di tutelare la moralità degli uomini e la purezza della loro osservanza ai precetti della Santa Romana Chiesa Cattolica Apostolica Romana, non forniremo l'apparente legittimazione a tali devianze?
Ma, d'altro canto, il male ed il peccato sono così diffusi che punirli tutti è superiore alle forze umane, e ve ne sono alcuni che possono portare ruine tremende. Dunque, l'uomo saggio potrà legittimamente fermarsi a punire altre brutture meno gravide di conseguenze, a rischio di trascurare i peccatori peggiori?
Il problema non è puramente accademico, e fu anzi sul punto di bloccarci, anche con il fascino stesso di siffatte discussioni dottrinali.

Dopo aver visitato i due anziani insegnanti e il loro disgraziato figlio senza avere trovato traccia della stamperia, prendemmo parte alla vita di parrocchia, mentre pensavamo a come proseguire la nostra ricerca di quanto rimaneva della stamperia. Il clima era piacevole: la popolazione era straordinariamente colta, come livello medio, e sembrava genuinamente religiosa. Io e Fratello Celestino fummo addirittura, nel corso di una cena conviviale, attorniati da torme di infanti che sognavano chi di entrare nei Templari, chi di farsi Inquisitore. Solo Adolf sembrava non gradire la compagnia, e decise di uscire dalla stanza nella quale eravamo ospitati. Non fidandomi di lui, ed essendo trattenuto da Don Beppe, chiesi a Joaquin di seguirlo, ma non avrei pensato che la sua uscita ci avrebbe causato tanti problemi.
Poco dopo, però, udimmo un'esplosione poco lontana. Tutti ci precipitammo per strada, e fummo subito guidati dalle luci vivide di un incendio che stava divorando un edificio non lontano. C'era un leggero odore di benzina: l'incendio era doloso.
Già molti paesani si stavano adoperando per domare le fiamme, e noi davamo una mano, sinché dal rogo uscì un uomo ferito: era Gian Carlo, l'insegnante con il quale avevamo parlato nel pomeriggio. Egli si teneva il ventre, e ci puntò contro il dito: «E' stato l'uomo che era con lui a ferirmi! A dare a fuoco tutto!»
Parlava di Adolf. Molti ci guardarono storto, e se non ci linciarono fu solo per il vestito che portavamo, e per l'emergenza del momento. In quel momento, l'edificio crollò: dentro, erano conservate le macchine da stampa, oramai inservibili per il rogo.

Pochi minuti dopo io, Fratello Celestino e Don Beppe ci trovavamo in una stanza della Canonica, temporaneamente al sicuro dalla folla.
«Tu!» lo accusavo «tu infanghi l'abito sacro che porti! Hai mentito ad un Inquisitore nei suoi legittimi sospetti! Hai occultato un'attività di stampa che produceva libri all'Indice, da Pinocchio ai volumi blasfemi di sette!»
Il peccatore sosteneva di essersi così comportato per preservare la cultura (cosa che invero gli era riuscita, nel paese), e di lavorare su commissione per sostenere le spese. Perché stampare, mi chiedevo, anche testi non sacri? Lo scellerato metteva in dubbio perfino la giustezza dell'Indice! Dubitava dell'operato di nostra Santa Madre Chiesa! Era abominevole, eppure vedevo che non agiva così per cattiveria. Non per questo poteva restare impunito.
Purtroppo, era in una posizione di forza per via della folla che ci attendeva fuori dalla porta. In quel momento tornarono Joaquin e Adolf, raccontando di essere stati aggrediti da Heinrich (come diavolo si chiama???): era stato lui, quindi, a ferire Gian Carlo e a bruciare la stamperia? Facile a credersi per noi, non certo per chi non sapeva dei sosia.
Tuttavia, Don Beppe colse subito l'occasione di mercanteggiare la sua impunità, proponendoci di chiudere un occhio sulle sue attività in cambio della possibilità di uscire vivi dal paese (con una minaccia molto poco velata!) (se chiudi un occhio come farai???)
Fratello Celestino fu da subito incline ad accettare, sostenendo che il pericolo del sosia di Adolf fosse molto più pressante di una stamperia oramai bruciata, e così la pensava anche Adolf (salvo durante uno dei suoi soliti cambi di personalità), ma io non potevo venir meno al mio compito di perseguire l'eresia.
Adolf, peraltro, farneticava: sostenne addirittura che, data la forza dimostrata dal suo sosia, questi fosse in realtà un morto. Cosa assurda, visto che aveva dato più volta prova di una certa intelligenza: messo davanti alla contraddizione, non seppe cosa rispondere. Fratello Celestino e Don Beppe, in realtà, affermarono misteriosamente di avere una possibile spiegazione, ma non vollero rivelarmela. Probabilmente volevano solo confondermi.

Restammo per tutta la notte a fronteggiarsi, Fratello Celestino con la teoria del male minore, io rifiutandomi di lasciare impunito un eretico. Non avrei voluto mandarlo al rogo, le sue intenzioni erano buone, ma avrei almeno preteso un pentimento ed una pena, sia pure lieve. Ma Don Beppe pretendeva la mia parola e garanzia d'impunità per lasciarci andare.
Ad un tratto, Fratello Celestino decise di uscire, ed io feci lo stesso, data l'oziosità della conversazione, ma Fra Beppe ordinò alla folla di lasciar passare solo il templare, a meno che io non dessi quella parola e promessa di menzogna che un uomo pio come me non può dare.
Ero disposto al martirio piuttosto che a cedere.
Ma avrei preferito evitare il martirio, se possibile: devo ancora servire il Signore. Mi riunii ancora a colloquio con Don Beppe, e a quattr'occhi( a tre, vorrai dire!) fu ben più accondiscendente. Accettò di pentirsi, e come penitenza di lasciare i suoi fedeli e amati paesani: una pena leggera, lo ammetto, ma non così difforme dalla colpa, e confacente alla situazione. Infatti, Don Beppe dichiarò alla folla esultante che avevo promesso di non denunciare nessuno, e che d'altro canto aveva ragione di reputare Adolf innocente del ferimento (non grave, per fortuna) di Gian Carlo, così potemmo andarcene tutti assieme.
La nostra nuova meta era Grinzane Cavour, da dove provenivano tante, troppe bottiglie trovate in possesso di personaggi vicini ai Decussi. Anche a Don Beppe ne erano state donate alcune, in occasione un una stampa di un libro all'Indice...che non era certo Pinocchio.

Caccia ad Heinrich


La figura di Heinrich turba la mia psiche. Sento la sua presenza, per poco non lo avrei localizzato a Torino, peccato che Celestino mi abbia urtato e mi abbia fatto perdere la concentrazione.
Da quando ho visto Heinrich non riesco a controllare le mie personalità. Nella città di Vicus Novus non so cosa sia capitato, il numero 15 l’inquisitore Angelo Demort ha preso il sopravvento. Avrei voluto bruciare la città solo perché c’era la possibilità che ci fosse una stamperia blasfema. Avrei arso vivo e impalato una povera famiglia solo perché indagati e non si ritenevano colpevoli della stampa del Dies Irae recuperato. Se si fossero confessati colpevoli li avrei arsi e impalati comunque.
Spero che questo momento di instabilità passi.
Ho paura di non poter trattenere il numero 13, Marcelus Fon Blud, anche soprannominato il macellaio di Praga. E’ un perfido e losco individuo che uccide per il solo gusto di farlo. Ama violentare le sue vittime, squartarle a colpi di accetta e eseguire atti di cannibalismo. Non ha motivi, non ha ritegno, non ha controllo, non ha fede, soffre di balbuzia e appare timido, ma tutto scompare quando uccide.
E’ feroce come un lupo affamato ma nulla è più pericoloso di un lupo travestito da agnello….

domenica 11 dicembre 2011

Vicus Novus

Nella vicenda torinese, benché il rischio più grave fosse oramai scongiurato, rimanevano ancora alcuni punti da acclarare. In particolare, ci turbava quella stamperia di libri proibiti che, a quanto ne sapevamo, era stata installata a Vicus Novus, un paesino a circa quindici chilometri da Torino. Decidemmo di recarvici già il mattino dopo la notte dell'assassinio del Cardinale, dopo aver parlato con Pautasso, e, per una volta, di seguire una procedura standard, tanto più che avevamo l'indirizzo della presunta stamperia.

Mi presentai dal Parroco, Don Beppe, con la mia patente di Inquisitore, spiegando la mia esigenza di perquisire la sede dell'indirizzo. Il brav'uomo fu disponibile, pur assicurandoci che il luogo non era sede di una stamperia, ma semplicemente la residenza di due persone dabbene, nonostante avessero avuto la disgrazia di un figlio poco savio.

Devo riconoscere che Don Beppe fu davvero paziente, perché Adof era veramente molesto, quel giorno, forse posseduto da personalità diverse, e lo stesso Jaoquin non riusciva a dominarlo mentre farneticava di roghi da appiccare a tutta la popolazione, senza nemmeno un giusto processo. Credo che dovremmo valutare l'ipotesi di un buon esorcismo a quel ragazzo e valutare se portarlo ancora con noi.

In effetti, i due proprietari della casa all'indirizzo in nostro possesso sembravano due ottime persone, due ex docenti proprietari di una vastissima biblioteca, nella quale, però, non spiccavano testi proibiti. Ci spiegarono che, prima della guerra, Vicus Novus era stata sede di una importante stamperia, che però era stata distrutta dai bombardamenti, sicché gli abitanti avevano una grande abbondanza di testi (anche Don Beppe ne vantava un'ampia collezione). La stamperia, però, non aveva mai ripreso a lavorare, o almeno così dicevano.

Eppure, il marchio era proprio quello che avevamo trovato sui libri proibiti. Fra questi, c'era anche il Sine Requie, stampato nel 1953

venerdì 9 dicembre 2011

Extra Ecclesiam nulla salus

Dopo la morte di Gesù, i sacerdoti farisei chiesero a Pilato «[Mt 64]Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: E' risuscitato dai morti. Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima!»

Questa richiesta prova, chiaramente, che sin dalla morte terrena di Cristo c'era chi voleva confondere i Fedeli. Ma se allora costoro erano increduli, in seguito anche i malvagi si dovettero arrendere di fronte alla Verità: non per questo, però, cessarono di ordire inganni, senza risparmiare nemmeno il Salvatore. Noi uomini di Chiesa siamo saldi abbastanza per non cadere negli ingenui trucchi dei malvagi e del Demonio, ma dobbiamo preservare dall'inganno anche chi ha meno saggezza e consapevolezza di noi.

Io stesso fui chiamato a tale dovere.

La notte stessa dell'assassinio del Cardinale, essendo stati scacciati dal suo palazzo, ci dirigemmo verso i sotterranei della Mole, dove – così avevamo intuito date le leggende sulla sacralità blasfema di quel luogo, che lo rendeva caro ad eretici e sette – probabilmente si incontravano gli adepti della cellula torinese dei Decussi, che ordivano trame dai contorni ancora indefiniti ma minacciosi.

In realtà, la Mole Antonelliana (o quel che ne restava, dopo i bombardamenti e l'incuria che merita un tempio israelita) appariva tranquilla, dal di fuori, nella sua nuova funzione di magazzino. Eppure, io sentivo ancora quel canto, quella nenia che già avevo udito nella notte in cui ispezionammo il Museo Egizio: probabilmente, era la setta riunita, che cantava il proprio distorto senso del sacro.

Fu però Joaquin a trovare l'accesso ai sotterranei, attivando una leva occultata nelle forme di una statua troppo nuova e troppo profana per essere realistica: si trovava in un vicolo, e un muro lì vicino si apriva su una scalinata che portava nelle viscere della terra, ai cunicoli che un tempo erano serviti a difendere la città. Scendemmo di almeno una quindicina di metri in un'oscurità appena diradata dalle nostre candele, sempre più giù, sempre procedendo in direzione della Mole, sino a quando non trovammo un cunicolo segnato da sporadiche candele. Lo seguimmo, ignorando le diramazioni, sebbene in una di esse avessi intravisto balenare una figura che mi pareva fosforescente. Ma era tempo di affrontare la setta, e poco ci spaventava un individuo barcollante, rotto dalla sua stessa malattia.

Giungemmo così ad un ampio sotterraneo, dove finalmente Nuntium Gaudi e Liberanosamalo avrebbero potuto avere la massima efficienza. Lo spettacolo era preoccupante: in un recinto, erano abbandonati un gruppo di infanti piangenti; poco oltre, c'erano i membri della setta, una ventina, attorno ad un individuo che pareva il capo, mascherato, assiso su un trono vicino ad un sarcofago che – non faticavamo ad indovinarlo – era quello trafugato dal Museo. Egli celebrava un successo imminente, sostenendo che il contenuto del sarcofago avrebbe loro permesso di fare a meno del Re Nero (ossia il capo dei Decussi) e di dominare e abbattere persino la Chiesa.

Non potevo permetterlo. Extra ecclesia nulla salus: non c'è salvezza, non c'è vita al di fuori della Chiesa.

Non facemmo in tempo ad agire: dietro di noi udimmo armarsi il cane di una doppietta, ci girammo di scatto, era l'uomo fosforescente. In un lampo, Joaquin fece per sparargli, ma la pistola si inceppò. L'uomo esplose il suo colpo, ferendo Joaquin e, in minima parte, Fratello Celestino. Ma non poté usare il secondo proiettile: lanciò un urlo, una costola gli uscì dal ventre. Dietro di lui c'era la figura orrenda di una Scannatrice.


Il mostro toccò appena Joaquin e Celestino, scaraventandoli lontano: per fortuna, non cercava noi e passò oltre. Puntò dritto sul capo della setta, che, tolta la maschera, somigliava moltissimo alla Contessa Malan, pur essendo un uomo di cinquant'anni. Probabilmente, era il Conte che aveva finto la morte, ma aveva fatto male ad inimicarsi i vertici della sua stessa setta, degli stessi Decussi che ora gli mandavano contro i loro mostri.

«Ah! In effetti avevo avuto la visione di un carro funebre, entrando qui», esclamò Adolf «ma non sembrava proprio una cosa importante, così non ve l'ho detto».

Non c'era tempo per insultarlo. Io mi precipitai al sarcofago, mentre la Scannatrice faceva scempio del Malan e inseguiva gli altri adepti: qualunque cosa ci fosse dentro, così pericolosa per la Chiesa, dovevo distruggerla.

Stranamente, il sarcofago aveva foggia egizia, ma non iscrizioni geroglifiche, bensì greche. Subito riconobbi il monogramma di Cristo.

Non ebbi il tempo di agire, perché comparvero Federico, il contatto di Joaquin, e un altro: essi si presentarono come Marco e Paolo, ed io risposi loro come Mattia. I vecchi nomi da seminario. Solo io e Celestino rimanemmo con loro (e questi solo su precisa richiesta e con voto di silenzio), per aiutarli ad aprire il sarcofago.

Dentro, c'era un uomo incredibilmente ben conservato, benché fosse evidentemente morto da tempo (e stranamente non risorto nonostante le sue condizioni). Ciò che era più eccezionale, però, era la sua somiglianza con Nostro Signore Gesù Cristo. Era evidente che non poteva essere lui, visto che i Vangeli affermano chiaramente che era risorto nella carne: qualcuno aveva mummificato, forse con tecniche egizie, un uomo che gli somigliava in modo straordinario, proprio per ingannare i meno saldi nella Fede, dando loro ad intendere che Gesù non era risorto, e che quindi il Cristianesimo non aveva fondamento.

Quell'opera del demonio andava, evidentemente, distrutta, o qualcuno avrebbe potuto lasciarsi ingannare (perfino Celestino vacillava, ed ebbi l'impressione che perfino Marco e Paolo pensassero che nel sarcofago ci fosse il vero corpo di Cristo). Per fortuna, avevano portato con loro molta dinamite.

domenica 4 dicembre 2011

Libri occulti

Curiosa espressione umana, l'amore carnale ed erotico, ed è certo per il meglio che Paolo consigliò a chi vuole dedicarsi al Signore di astenersene, ed è un bene che la Santa Romana Chiesa Cattolica Apostolica continui a chiedere tale rinuncia ai suoi sacerdoti, a differenza di tanti cristiani eretici. Esso svia, porta alla follia, al favoritismo, in definitiva a derogare dalla propria missione, che è e sempre sarà di amare il prossimo senza distinzioni, come facciamo noi della Santa Inquisizione.

Si guardi Adolf: mentre noi passammo il resto della notte al convento, senza neppure tentare di rintracciare l'uomo che era fuggito, perdendosi fra le nebbie, egli a rischio della sua stessa vita, aveva voluto seppellire la strega “senza fare scempio del suo corpo”. Era un pericolo, ma nessuno di noi aveva avuto cuore di impedirglielo: del resto, se la sua concezione dell'amore consisteva nel condannare la sua donna ad una fame perpetua nel chiuso di una tomba sigillata, o ad essere uno spaventoso obbrobrio in cerca di carne umana privo di senno anziché darle la pace con un pietoso rogo che cancellasse la sua maledizione. Non è questa follia?

È una vera fortuna che, come insegna la Santa Chiesa, non esistano i morti senzienti, altrimenti una donna eretica e senza dubbio per molti versi straordinaria come quella, avrebbe avuto buone possibilità di risorgere nella forma di uno di questi pericolosissimi abomini. Mi stupisce che i miei compagni (i quali – lo so – in fondo al cuore nutrono tale superstizione) non abbiano provveduto a fermare Adolf.

Ad ogni modo, Adolf tornò vivo, il che lasciava pensare che avesse effettivamente seppellito la sua defunta amata, ma rimase sostanzialmente inattivo, come un burattino svuotato, per tutta la giornata.

Noi, intanto, avevamo perquisito il monastero, trovando un'altra copia del De monarchia demonica, il che ci lasciò immaginare che questa setta fosse affiliata proprio alla Societas diaboli con cui ci eravamo già scontrati. Occultato in un muro, con ogni evidenza da decenni, c'era ancora uno strano libro blasfemo, composto da una pagina bianca e una nera, che Joaquin individuò come il libro del Bianco e Nero. Probabilmente si trovava lì perché il monastero di Crea è situato in un logo che molte sette ritengono magico. Strana, invece, la modalità di ritrovamento: Celestino lo scoprì quasi in trance, come per un occulto richiamo. Il che la dice lunga su quali influenze e quali strani riti circolino fra i Templari, che pure sono per molti versi un valido sostegno alla Chiesa.

Ripartimmo dunque alla volta di Torino, dove giungemmo senza problemi. Raccontammo la nostra storia alle autorità, nella persona dell'omuncolo che aveva sostituito Pautasso, ovviamente omettendo alcuni particolari. Avremmo voluto conferire con il Cardinale, confidando che non fosse colluso con la setta, ma era in riunione con il suo pari grado di Genova: ci avrebbe ricevuto, ci fu detto, in seguito.

Mentre attendevamo, ci recammo da Pautasso, il quale non aveva novità rilevanti, ma ci disse dove trovare il cameriere che aveva soccorso lo strano individuo fosforescente. Ci recammo al bar nel quale lavorava, ma ci fu riferito che era sparito da alcuni giorni. Decidemmo di andare a cercarlo a casa sua, nella zone periferica della Vanchiglia: il suo appartamento dava su un cortile interno. Bussammo.

Nessuna risposta.

Bussammo più forte.

Ancora, nessuna rispota.

A questo punto, Fratello Celestino decise di “bussare” ancora un poco più forte, ed entrammo nel piccolo appartamento attraverso la porta sfondata. Un ragazzo, tremante, con in mano una patetica gamba di tavolo quale arma, era rannicchiato in un angolo, terrorizzato. Per rassicurarlo, gli dissi che facevo parte della Santa Inquisizione, Joaquin gli spiegò di essere membro del Sant'Uffizio e Fratello Celestino dei Templari. Come non fidarsi?

Era, ovviamente, il cameriere, che ci confessò di essere terrorizzato: la donna che, con lui, aveva raccolto l'uomo era sparita misteriosamente. Lui aveva avuto un colloquio con il Cardinale in persona, che si era fatto consegnare le spaventose foto di bambini trovati sul corpo dell'uomo fosforescente, e gli aveva intimato di tacere. Glielo intimammo anche noi.

Certo, era un bell'enigma capire cosa volesse quell'uomo che, barcollando (evidente per la malattia, che secondo Joaquin era un morbo tipico delle fabbriche di fiammiferi, causato dalle sostanze tossiche di cui si fa uso): forse voleva mettere in atto un ricatto, con quelle lettere?

Proprio questo morbo avrebbe potuto fornirci un successivo indizio: investigare sulle fabbriche di fiammiferi, oramai in disuso, dei Malan. Ma non era l'unica pista: il contatto di Joaquin ci aveva rivelato il luogo di stampa dei libri blasfemi che avevamo trovato, e non era lontano da Torino, per la precisione nel piccolo borgo di Vicus Novus. Infine, volevamo indagare sui sotterranei torinesi della zona della Mole.

Ma, prima di prendere ogni successiva iniziativa, volevamo conferire con il Cardinale, sicché ci recammo al suo palazzo.

Con nostra sorpresa, non solo non ci fu concesso di entrare sul momento, ma ci fu chiaramente dato ad intendere che non avremmo avuto la possibilità di conferire con il Cardinale nemmeno in seguito. Dopo poche proteste, ci allontanammo: in fondo, se egli avesse perso interesse a noi saremmo stati, almeno per il momento, più liberi di agire. Ma ci preoccupammo molto di più quando, alzando gli occhi per caso, Joaquin ebbe la ventura di vedere due ombre dietro la finestra dell'ufficio del Cardinale: una era quella di Sua Eminenza, l'altra sembrava proprio quella del nostro Adolf. O di Otto. O, come era probabile, del suo misterioso sosia che sembrava agire con molta influenza, sempre malvagia, a Torino.

Ritornammo sui nostri passi per cercare di raccogliere qualche informazione, quando improvvisamente il palazzo si animò di una innaturale confusione e concitazione, di cui approfittammo per intrufolarci dentro.

Qualcuno aveva attentato alla vita del Cardinale, forse era agonizzante,

Forse, già morto.

Una lama da la vita, una lama la toglie...

Mi ero innamorato. Lei, la strega, era e sarà sempre bellissima. Il destino mi ha portato a incontrala avrei voluto passare più tempo con lei. Dal primo momento ho capito che era speciale. Gli altri confabulavano per liberarla. Io volevo agire.

Dal manuale del cacciatore : “se parli predica, se agisci caccia. Il prete predica, il cacciatore caccia. Non puoi cacciare parlando … la preda fugge”

Nella notte le passai il mio coltello senza farmi vedere. Le permisi di fuggire e rifarsi una vita, magari con me, quando l’avrei rincontrata. Lei riuscì a scappare stordendo non si sa come Celestino e pugnalando uno dei tizi che ci accompagnavano. Si rifugiò in una grotta.

Io solo la trovai per prima. Mi bastava il fiuto per la mia preda(chissà cosa hai fiutato???).

La vidi, lei allargò le braccia e giacemmo. L’idillio lo ruppe solo padre Novella. Uno strillante e ottuso nano da giardino. In quel momento di tensione le mie personalità non si controllarono e senza sosta variavano il mio atteggiamento.

Dopo una lunga discussione decidemmo comunque di consegnarla al convento. Joaquin mi ridiede il coltello che aveva usato la “mia” donna. Io volevo salvarla. Capii subito che i preti non erano preti, appena li vidi mi chiamarono Heinrich, la mia copia che ormai sono sicuro mi abbia incastrato. Nella notte anticipammo l’imboscata dei frati facendo una strage.

Il loro capo aveva però la mia amata come prigioniera. Padre Novella sparò per colpire il frate impostore, nel frattempo lanciai il coltello mirando allo stesso bersaglio. Sfortunatamente il colpo di Novella andò a segno facendo muovere il prete. La lama che aveva dato la libertà alla strega la colpì recidendole la giugulare.

Ora porto il suo corpo esanime tra le braccia. Lo sotterrerò nel bosco. Non posso squartarla. Voglio che viva per sempre. Il mio io, il predicatore Anton Sparlovic il numero 17 mi sta guidando.

Conserverò il coltello, lei “rivivrà” e ci ricongiungeremo alla mia morte in una “nuova vita”….

mercoledì 30 novembre 2011

Beati i deboli, perchè di essi è il regno dei cieli

Se un peccato ha effetti positivi, sostengono i peccatori, è pertanto da considerarsi scusato, e perfino positivo esso stesso. L'oziosità di tale ragionamento, formulato da chi anela soggiacere ai più bassi istinti e ne cerca giustificazioni, è evidente: esiste sempre una via santa e pura per il bene. E se così i peccatori possono sperare di ingannare gli uomini, il Giudizio Divino non può essere aggirato. Questo fu evidente anche dalla storia che occorse ad Adolf e alla strega.

Svegliati nella notte, ci trovammo dunque di fronte ad uno spettacolo agghiacciante: Celestino in terra, la strega nel suo carro, con uno sguardo da brividi. Io mi precipitai a soccorrere Celestino, pronto a confortarlo e aiutarlo nel risveglio, consegnargli gli estremi sacramenti o dilaniarlo a brani, a seconda della sua condizione. Per fortuna, mi resi subito conto che era solo momentaneamente sotto shock, ma non in pericolo di vita.

Il resto, accadde rapidamente: la strega aprì di schianto la porta, colpendo fra Claudio, che le si era avvicinato, poi estrasse un coltello con il quale ferì Maurizio, e fuggì nella nebbia. Gioacchino le sparò, riuscendo a colpirla ma in modo lieve, giacché ella continuò la sua corsa, mentre un coltello lanciato da Adolf la colpì solo con il manico.

Nonostante le nebbie e le mie ridotte capacità visive, causate dall'essere provvisto di un solo occhio, mi gettai all'inseguimento della donna, e con me venne Adolf, covando nell'animo propositi ben diversi.

Non fu facile raggiungerla: ella si era rifugiata in un sistema di grotte carsiche assai intricato, tanto che dovemmo dividerci per cercarla meglio. Nell'impeto del momento, ingenuamente non pensai che dare ad Adolf la possibilità di incontrare da solo una donna non era una mossa saggia, né badai al fatto che Adolf aveva un coltello in meno, e la strega uno in più... quando, pochi (e sottolineo pochi) minuti dopo li incontrai, i due peccatori erano assieme, ignudi, dopo aver giaciuto assieme.

Pazzi! Adolf era oramai completamente dominato dalla donna, la quale farneticava di essere stata aiutata dal nostro compagno di viaggio, che togliendole la verginità l'aveva resa inadatta al rito che, a suo dire, avrebbe dovuto averla come oggetto.

Stavamo alterecando, quando udimmo un rumore di expiator: accorremmo, era quello di Celstino. Quando lo trovammo, dinnanzi a lui c'era Fra Claudio ridotto a brandelli. Celestino sembrava sconvolto, assicurava di avere avuto l'impressione di essere attaccato da un morto dei più feroci, che si era rivelato essere Fra Claudio (ancora vivo) solo dopo essere stato colpito a morte. Evidentemente il luogo era denso di influenze maligne, nonostante un altare consacrato che trovammo (e dal quale raccolsi una scheggia di legno che mi pareva emanare un'energia benefica: forse era una scheggia della Vera Croce?).

Dopo alcuni scontri verbali (e per poco non trascesero), in cui la complicità di Adolf con la strega e il suo essere succube della donna risultò evidente, decidemmo di riportare la strega al carro e di lì al monastero di Crea, dove però saremmo stati bene in guardia, nel caso che ciò che la fattucchiera andava affermando, cioè che fosse un covo di una setta blasfema, corrispondesse a verità. Nel caso, Celestino (per cui si preparava, a dire della pretesa veggente, un grande destino) era indicato dalla donna come capace di vincere questa blasfemia.

Per scrupolo, comunque, legammo la donna e la tenemmo lontana da Adolf.

Giungemmo al monastero a sera, e subito ci accorgemmo che i pretesi frati avevano qualcosa di strano, benché io non sapessi definire cosa; Gioacchino, però, vide che avevano tatuato sul polso un serpente. Del resto, malcelata dietro una formale gentilezza, essi diedero mostra di volerci allontanare già per la notte stessa, e solo dietro le nostre insistenze ci accolsero in foresteria. Ad ascoltare l'abate, sarebbe giunto qualcuno dalla città per il processo dopo la purificazione, ma ciò non aveva senso, e noi eravamo convinti che qualcosa sarebbe accaduto nella notte stessa: forse, il rito.

Stavamo preparando un piano d'azione, quando sentimmo un grido alto provenire dalla Chiesa: «Tradimento! Non è vergine!»

Non ci restava che improvvisare. Con le armi in pugno, ci dirigemmo all'uscita della Chiesa, appena in tempo per vedere aprire le porte e vomitarne i frati armati. Fu una strage: Liberanosamalo e Nuntius Gaudii cantarono dilaniando carni, i proiettili di Giacchino e Adolf furono impietosi. In pochi attimi, avevamo sterminato i blasfemi seguaci dell'eresia, perché il Signore combatte con i giusti.

Dentro, si annidavano ancora il finto abate e tre seguaci, armati con fucili e pistole. Il loro capo aveva preso in ostaggio la strega, e minacciava di ucciderla se ci fossimo fatti avanti. Io, però, decisi che, benché fosse una peccatrice, non lo era al punto da meritare di essere uccisa senza un giusto processo che – oramai mi era evidente – non era mai avvenuto. Così, presi tempo, e con la mia pistola piazzai un colpo preciso nella testa del finto abate, che stramazzò morto senza poter nuocere alla donna.

Ma Dio non vuole che i peccati rimangano inulti, non permette la gioia delle meretrici e dei loro sodali. Così, fu la stessa mano di Adolf ad essere strumento di quello che, a conti fatti, non può che essere un giudizio divino. Anch'egli volle tirare al finto abate, ma lo fece in modo goffo, così goffo da colpire al collo la sua amata, condannandola a morte.

Grande fu il dolore dello scellerato. Grande e tardivo, perché la punizione del Signore cala su tutti i peccatori, e ancora più feroce su chi prova a farsi beffe di Lui. Adolf aveva messo a repentaglio la nostra vita per le sue voglie lussuriose, aveva favorito la fuga della donna senza consultarci e armandola, in modo tale che aveva ridotto in fin di vita un uomo (che avrebbe potuto essere uno di noi) per i suoi scopi libidinosi.

Ora soffriva il fio della sua scelleratezza, ma quanto potevamo fidarci di un compagno così?

Sparì nelle tenebre per seppellire il corpo della sua amata strega, mentre noi scendevamo nelle segrete, sperando di trovare i veri monaci.

Non ne trovammo che i cadaveri, chiusi in celle, parzialmente divoratisi l'uno con l'altro, in uno spettacolo orribile.

Avevamo debellato una cellula di una setta, ma per loro era tardi. E non avevamo ancora concluso il nostro dovere: era evidente che la setta aveva agganci molto altolocati, se la strega (affidataci dal Cardinale di Torino stesso) giungeva sin da Milano.

martedì 29 novembre 2011

Ne resterà soltanto UNO!!

“Dormono dormono sulla collina

Dormono dormono sulla collina”

Così io li immagino nella mia mente, un cimitero con lapidi senza nome ma solo con un numero.

Di quei numeri io conosco il nome e il volto. Quest’ultimo è semplice da ricordare il volto è sempre lo stesso … il MIO. Il nome cambia e con se porta una storia e la propria personalità.

A turno loro prendono vita in me e hanno il sopravvento.

Ho imparato a convivere con i miei cloni che di tanto in tanto aumentano dopo aver perso la vita.

Io sono il loro cimitero e ho il potere di destarli dal sonno e farli rivivere in me!

Otto il numero 69 è stato l’ultimo, ha portato con se la lussuria e l’abilità nella mira. Ho scoperto quanto è bello il vizio. Prima di lui altri sono arrivati il numero 15 l’inquisitore Angelo Demort uno spietato e retto esponente del pontificio, fu ucciso per vendetta da alcuni paesani che si erano visti bruciare casa e famiglia per un’accusa di scarsa partecipazione alla vita religiosa. Venne poi Jean Paul Bonton il numero 11, un nobile francese di Parigi immischiato in loschi intrighi politici e grande seduttore, la sua abilità a raggirare non è seconda a nessuno.

Il più strano di tutti era il numero 66 il predicatore jugoslavo Anton Sparlovic, fece vita da eremita nei Balcani, quando tornò a Belgrado iniziò a predicare la bellezza della non-morte. Sosteneva che il Signore aveva dato la possibilità alle famiglie di non soffrire per la perdita dei propri cari. Loro infatti tornavano in vita. Occorreva creare una società senza distinzione tra vivi e morti dove tutto era eterno. Portava con lui un morto senziente che considerava grande amico. Fu ucciso da un Atrox mentre cercava di parlarci insieme.

Chi peggio sopporto è il pauroso tedesco Ludvin Astenghen Karlauten il numero 17, quando sono stato sotto processo oppure vengo interrogato spesso lui prende il sopravvento su di me e inizio a tremare, piangere e avere paura. La sua morte fu forse la più atroce. Fu preda di un gruppo di belve morte in un piccolo borgo in Baviera che ne straziarono le carni.

L’ultimo numero che conto è il 77 Tonino Lacanonica il blasfemo napoletano, lo arrestarono per le donne ed il vino, non avevano leggi per punirlo non lo uccise la morte, ma due guardie bigotte gli strapparono l’anima a furia di botte.

Non so quanti siano in tutto. Non restano più tanti numeri liberi nel mio cimitero. Fortunatamente il mio numero non lo vedo e non vedo neanche il numero 1, penso che sia Heinrich, colui che mi ha incastrato a Torino e che la strega mi ha detto essere l’individuo da cui sono stati generati gli altri, me compreso.

Tra poco anche lui farà parte della mia collezione…

Sia fatta la sua volontà...

La strega mi ha baciato...
Ho una gran confusione in testa e non riesco ancora a spiegarmi cos'è successo...
La giovane donna mi ha chiesto di avvicinarmi alle sbarre del carro, l'ho fatto...
Mi ha chiesto se mi fidavo di lei, le ho risposto di no...
Ha allungato le mani tra le sbarre chiedendomi di stringergliele, l'ho fatto...
Signore, come potevo pensare che una giovane donna disarmata e rinchiusa in una gabbia, potesse essere un pericolo per me, per un uomo più alto di lei di almeno 40 centimetri e 50 chili più pesante.
Lei poi mi ha baciato, mi ha baciato la fronte come una madre col proprio figliuolo...
A quel punto mio Signore, nella mia testa sono esplose immagine di riti blasfemi, calici ricolmi di sangue e corpi straziati vittima di apostoli del male!
Al mio risveglio, su di me vegliavano Novella e Joaquin, che mi prestava i primi soccorsi credendomi ferito.
Novella e Otto ( o quel che è ) si sono poi lanciati all'inseguimento della "strega" che era scappata lasciandosi alle spalle il povero Maurizio (Baracco, ndr)con un profondo squarcio nell'addome... Quando mi alzai in piedi decisi che era più saggio per me, in quelle condizioni, e Joaquin rimanere con Maurizio, ma a quel punto sentii una voce nella mente che mi chiedeva aiuto, era lei... ma la cosa che mi stupii maggiormente è che anche Joaquin, secondo me, aveva sentito lo stesso richiamo. Ci dirigemmo ad una vicina grotta dove ci dividemmo...
E' qui Signore, che successe l'incredibile... la mia mente era evidentemente sotto l'effetto del bacio della strega, perchè quello che vidi in quell'antro fu un Athrox che discese da un trono d'ossa per venirmi incontro minaccioso, e feci l'unica cosa che un templare DEVE fare in queste occasioni, accesi LNM(libera nos a malo, ndr) che tuonò rabbioso e calando con violenza sul morto lo divise in due... Solo a quel punto ritrovai il mio senno, e vidi in terra ai miei piedi il prete ( finto lo scoprimmo dopo ) che ci accompagnava. A quel punto mi raggiunsero i miei compagni che mi videro finire di sezionare il cadavere, increduli su ciò che stava accadendo. Novella mi chiese immediatamente spiegazioni, alle quali non mi sottrassi, non per il suo ruolo da inquisitore ma perchè da cristiano quale sono, rifuggo la menzogna. Raccontai loro l'accaduto e della visione che mi aveva ottenebrato la mente, Novella e gli altri credettero alle mie parole senza vacillare mai nella fiducia in me riposta.
Sentii ancora il richiamo della donna mentre ci trovavamo nell'abazia, mi chiedeva aiuto... e ne aveva ben donde, stavano per praticare su di lei un rito sacrilego...
Ora la giovane donna è morta, nella mia testa non si sono più affacciate visioni e non sento voci, spero sia finita qui...
Ma il dubbio mi attanaglia mio Signore, non riesco a capire, la donna mi disse che il suo era un dono e questo dono era per onorarti, per essere uno strumento nelle tue mani, ma un santo tribunale l'aveva accusata di eresia. Che nel seno della tua santa chiesa si celino degli impostori?
Che un tuo strumento sia realmente caduto nelle lorde mani di blasfemi barbari?
Signore ti prego aiutami! Porgi su un tuo umile servo il tuo benevolo sguardo ed illumina il mio cammino!
Signore fai che io sia sempre uno strumento della fede, che la mia mano si levi sempre solo contro i nemici della Santa Chiesa e che il mio corpo sia scudo per i più deboli ed indifesi.
Signore fai che questo sia il mio cammino o che LNM cali su di me come fossi un tuo nemico.

sabato 19 novembre 2011

Nell'era buia dell'incertezza, io ti prego, O Signore, infondimi saggezza

“Guardatevi dai falsi profeti! Essi vengono a voi in veste di agnelli, ma dentro sono lupi rapaci!” Le sacre e savie parole del Signore risuonano potenti nel mio animo, e mi chiedo se anche nello stesso seno della Santa Madre Chiesa, come sostiene quella peccatrice... e so che è così. Del resto, è per questo motivo che esiste la Santa Inquisizione: per mondare la stessa Chiesa dalle devianze che possono annidarsi entro di essa, perché se Santo è il suo corpo, essa è pur sempre composta da uomini, e nessuno di essi, salvo il Papa, è infallibile.

Legittimi dubbi potevamo nutrire sulla rettitudine dello stesso Cardinale di Torino, che ci aspettava, con ira misurata, nell'ufficio di Pautasso, quando vi tornammo per annunciargli il risultato della nostra incursione notturna al Museo Egizio, effettuata senza autorizzazione ma grazie alla sua connivenza. In realtà, non avevamo scoperto molto: solo che uno di quattro grandi sacofagi era stato trafugato (gli altri quattro erano vuoti), e che probabilmente il Direttore del museo, Francesco Riganò, era in qualche modo colluso con i ladri, visto che non aveva denunciato la sparizione, sebbene fosse così evidente. In aggiunta a ciò, per un momento mi era parso di sentir cantare inni lontani, ma non ne avevo capito la provenienza.

Per fortuna il Cardinale non sapeva della nostra intrusione, altrimenti avrebbe avuto la possibilità di prendere provvedimenti legali. Tuttavia, nulla gli impediva di intralciare le nostre ricerche: scelse una strategia diversificata. Innanzi tutto, ci sventolò di fronte una lettera in cui Pautasso chiedeva a Frate Ardizzone un intervento, e si dichiarò molto irritato dall'intrusione: ci intimò di desistere da ogni ulteriore indagine, e “concesse” una vacanza a tempo indeterminato a Pautasso, con decorso dalla giornata stessa. Poi ci chiese di rimanere a disposizione, e anzi di tornare tre ore dopo: ci sarebbe stato un incarico per noi.

Pautasso era ovviamente turbato, e ci offrì casa sua come nuovo centro operativo: aveva alcuni uomini fidati che avrebbero potuto esplorare i sotterranei di Pietro Micca, che forse erano serviti, come già Fratello Celestino aveva intuito, a trasportare inosservati la pesante refurtiva del Museo.

Il Cardinale, però, uomo avveduto (ma con avvedutezza, temo, volta al male!) aveva previsto che non avremmo abbandonato la nostra ricerca, così, quando tornammo a Palazzo Città, trovammo una sgradita sorpresa: avevamo avuto l'incarico di condurre una strega al Monastero di Crea, dove sarebbe stata purificata prima del rogo. Con noi c'erano il cocchiere, Maurizio, e frate Claudio, un individuo arrogante. Pautasso era già stato sostituito da un servile inetto.

Celstino provò ad argomentare di essere legato ai Templari, ma il Cardinale aveva già ottenuto un nulla osta che vincolava il nostro nerboruto compagno alla missione.

Non ci restava che partire.

La strega era una donna bellissima, dotata di un carisma straordinario. Adolf rimase subito vittima del suo fascino, nel modo più sconcio, e ammetto che io stesso dovetti sforzarmi per non cadere ancora in tentazione (per fortuna ci riuscii: almeno un occhio è utile a conservarsi). Del resto, era forse eretica, ma quanto andava affermando non era privo di un certo interesse, e mi dava l'impressione di sapere qualcosa che sarebbe potuto tornarci utile nella nostra missione, così decisi di darle corda. Certo, alcune affermazioni erano difficili da credere, ma diede prova di non comune intuito, ed io speravo che sapesse qualcosa di Torino. Del resto, non ero nemmeno sicuro della sua colpevolezza: avevamo visto come alte gerarchie torinesi sembravano utilizzare il potere da Dio conferito non per la Gloria di Dio, ma per i loro intrighi di potere umani, troppo umani. E, forse, eliminavano così testimoni scomodi.

Ammetto di avere anche pensato di interrompere la missione, imprigionare in qualche modo Maurizio e Fra Claudio (il quale spinse il suo folle orgoglio al punto da affermare che la strega sarebbe bruciata all'inferno, come se non la stessimo portando alla purificazione apposta per salvarle l'anima, o se gli uomini potessero vedere i giudizi di Dio) e sfruttare quel paio di giorni in cui ci si sarebbe creduti lontani da Torino per tentare azioni risolutive. E forse l'avrei fatto, se i miei compagni di avventura fossero stati d'accordo.

Invece, il viaggio scorse così tranquillo che la maggiore avventura fu l'attraversamento di un ponte di legno scricchiolante.

A sera, ci accampammo in una zona boschiva. A me toccò il secondo turno di guardia, ma in realtà rimasi sveglio, senza darlo a vedere, anche durante il primo turno, in cui vigilava fra Claudio, del quale non mi fidavo. Era nervoso, ma non commise atti sospetti.

Nel mio turno, discussi un po' con la strega, che mi accusò di bigottismo e si disse amante di Dio, senza tuttavia dimostrare il dovuto rispetto alle Sacre Scritture. Adolf vegliò con Jaoquin, e fu un bene, perché già nei pochi minuti che mi ci vollero a prendere sonno lo vidi cercar di sedurre la giovane.

Mi addormentai, quasi tranquillo, ma fui risvegliato dalle urla di Joaquin.

Era quasi mattina, era il turno di Fratello Celestino: ebbene, egli giaceva riverso, di fronte al carro-prigione della strega, con la schiuma alla bocca.

La donna lo aveva baciato sulla guancia, e lui era caduto. Così ci disse Joaquin.

Era stato stregato.

mercoledì 16 novembre 2011

Nel buio del dubbio, la luce del Signore vi indicherà la vostra strada

Appena Gioacchino si fu congedato, Frate Ardizzone assegnò a me e a Celestino (il quale, certo ispirato dal Signore, accettò di buon grado di continuare a collaborare con la Santa Inquisizione, dimostrando che un buon cristiano è tale qualunque veste porti) un incarico che avrebbe potuto rivelarsi di massimo rilievo, forse per la stessa sopravvivenza della Santa Romana Chiesa Cattolica Apostolica.

I cavalli erano già sellati, e senza nemmeno concederci il tempo di un riposo eravamo già in sella verso Torino, dove ci aspettava Gianpaolo Pautasso, un capo excubitor che aveva pesanti sospetti su accadimenti inspiegabili che lì accadevano. Un uomo fidato. Sapevamo che non avremmo potuto fidarci di nessuno: era possibile che la corruzione fosse giunta fra le alte sfere locali, e financo nel seno della Chiesa. Del resto, ci era stato rivelato anche che avevamo un nemico potente, e – molto mi spiace ammetterlo - nelle stesse santissime fila dell'Inquisizione. Del resto, nessuna congrega umana è così santa da santificare chiunque ne faccia parte, e anzi spesso il Demonio si bea nel confondere le file dei fedeli. Il nome del nostro potente nemico era il Venerabile Fra Ruina.

Dopo tre giorni di cavalcata senza storia, arrivammo alle porte di Torino, ma decidemmo di passare la notte nella Rocca dei Cavalieri della Sindone, presso l'antico Palazzo di Stupinigi. Qui fummo accolti con pia disponibilità, anche perché, come ciascuno sa, tale Ordine è strettamente legato a quello dei Templari.

Il mattino dopo, ci siamo presentati da Pautasso che (a quanto si è scoperto) era stato commilitone di Fratello Celestino, e questo l'ha reso particolarmente ben disposto nei nostri confronti. Purtroppo, la questione era assai oscura: strani Morti si aggiravano per la città. Due neonati Ferox erano sbucati dal Po, aggredendo alcuni excubitores, che a fatica ne avevano avuto ragione e che, prima di eliminarli, avevano notato le loro schiene bruciate e un marchio a fuoco dietro l’orecchio, raffigurante un serpente. Ma noi stessi fummo testimoni del peggio: un altro mostro, una sorta di Scannatrice(in realtà non c’entra nulla, ndr), fu avvistato nella zona di piazza Vittorio proprio mentre noi ci trovavamo da Pautasso, a Palazzo Città (nella vicina piazza Castello). Accorremmo, la eliminammo soprattutto grazie al vigore di Fratello Celestino.

Purtroppo, sapevamo di chi fosse il corpo: era quello di Padre Rosario, inviato da Frate Ardizzone a Torino prima di noi, e scomparso da alcuni giorni.

Il corpo del poveretto era stato svuotato delle interiora, per la precisione di tutto l'intestino e di una parte delle altre. Inoltre, Fratello Celestino notò che da uno dei suoi due occhi cuciti usciva una pergamena, recante strane rune: era chiaro che non si trattava di un morto ordinario (come se non bastassero!), ma del frutto di un rito malvagio!

Subito pensai alla mummificazione, e pensai di chiedere un permesso per visitare il Museo Egizio, un tempo assai noto in quella città, immaginando di potervi trovare indizi. Ma, prima di poter prendere tale iniziativa, mi attendeva un'altra sorpresa.

Il mattino dopo, infatti, da Pautasso io e Fratello Celestino trovammo una situazione intricata: con nostro grande stupore, vedemmo Gioacchino e il defunto Vent-Otto (che però era vivo e vegeto) intenti a sporgere denuncia per il furto di un diario, e un contadino che asseriva di averli visti (o meglio, di aver visto un uomo uguale a Vent-Otto e un altro che aveva lo stesso bastone di Gioacchino) portare Padre Rosario in campagna, su un carro nero, e trafiggerlo al cuore col bastone animato, mentre 28 lo teneva, per poi ricaricarlo sul carro.

Certo, la dinamica pareva strana, come subito notò Celestino, ma ancor più strano era che il presunto Vent-Otto che avevamo davanti, non era Vent-Otto! Asseriva invece di chiamarsi Adolf Stettermaier; sosteneva di conoscerci sulla base di un sogno, e di aver giurato di difendere Gioacchino (infatti appena giunti a Torino erano stati anestetizzati durante un'orgia, riportati in albergo e derubati, a quanto pareva dal racconto che ci fecero dei giorni precedenti).

Non mi fidavo: gli aprii la camicia e...sul petto non c'era più il numero 69.

Invece, era tatuato un numero 9.

Quanti altri uomini come lui, frutto (a quanto risultava) di un esperimento di clonazione nazista, c'erano in giro? Troppi?

E, forse, volendo fidarci di Gioacchino, uno di costoro aveva ucciso, la notte prima, e praticato il rito per risvegliare in quel modo l'inviato di Frate Ardizzone? Oppure era stato proprio questo sedicente Adolf a carpire la fiducia di Gioacchino, collaborare nell'addormentarlo, e poi usare questo alibi?

La dinamica particolare lasciava sospettare il tentativo di incastrare il nostro amico e la sua nuova guardia, ma davvero si può prestare fede a chi si finge frate, lavora per la Chiesa, ma si dedica alle orge più sfrenate?

E, tra l'altro, come scoprimmo in quella circostanza, è il fiero nipote di Friedric Nietzche, il quale certo non è il più pio fra i filosofi?

Intrigo a Torino

Passati pochi giorni dalla disavventura con la setta di Belzebù, i miei compagni ed io ci recammo al cospetto di Frate Ardizzone. Egli mi consegnò una busta, che conteneva una missiva di Federico, il mio contatto a Torino. Poco tempo addietro avevo ricevuto un'altra sua lettera, in cui mi aggiornava circa i risultati di alcune sue ricerche: aveva scoperto che, tra i rami del mio albero genealogico, trovava posto nientemeno che il grande filosofo tedesco Friedrich Nietzsche.

Ora mi scriveva nuovamente, chiedendo di recarmi urgentemente a Torino, questa volta non sotto mentite spoglie, ma in veste di me stesso, Sebastian Joaquin, erede di Nietzsche. Sfruttando la popolarità del mio prozio, sarei entrato in contatto con organizzazioni massoniche dalle spiccate tendenze anticlericali, vicine, a loro stesso dire, all'autore dell'Anticristo. Il Sant'Uffizio aveva ragione di credere che i “fatti strani” che stavano accadendo a Torino, di cui nella lettera non si faceva menzione più approfondita, erano in qualche modo collegati a queste organizzazioni. Il mio compito, in quanto agente del Sant'Uffizio, sarebbe stato indagare su questi fatti strani e scoprire chi o che cosa vi stava dietro, anticipandone le mosse, per quanto possibile.

Letta la missiva, mi accomiatai rapidamente dai miei compagni, come presentendo che presto le nostre vie si sarebbero di nuovo incrociate. Mi recai all'hotel Arno, come indicato da Federico, e quando aprii la porta della stanza assegnatami, numero 69, mi ritrovai davanti a una visione triplicemente scioccante: 1) il mio amico Otto, il cui corpo avevo visto prima perforato da una pallottola, quindi fatto a pezzi, si sollazzava ora con una giovane, nella vasca della mia stanza; 2) quando mi vide si alzò in piedi, non curandosi di coprire ciò che, ad ogni modo, sarebbe stato impossibile coprire col solo ausilio delle mani; 3) si rivolse a me come parlando a un frate – mentre il vero Otto da tempo aveva capito che non ero che un falso – e mostrando inoltre un rispetto nell'eloquio e una devozione, che mai avevo udito proferire da quella bocca; infine mi accorsi che il numero che aveva tatuato sul petto non era il 69, ma il 9. Era questa la “sorpresa” a cui si riferiva Federico nella lettera, in cui accennava anche che colui che avevo di fronte era il risultato di esperimenti genetici nazisti!

Era evidente che chi avevo di fronte non era Otto, ma una sua copia, con una personalità apparentemente diversa da quella del mio amico. Mi disse di chiamarsi Adolf Stettermajer e che si ricordava di me, padre Joaquin, anche se i suoi ricordi erano molto confusi, come in un sogno. Dopo che gli ebbi rivelato che non ero un prete – infatti, benché non potessi fidarmi ciecamente di lui, non c'era bisogno di mentirgli, non dovendo più nascondere la mia identità – ci preparammo per il costosissimo viaggio in treno che Federico aveva provveduto a prenotare per noi.

Il viaggio procedette senza intoppi. Arrivati alla stazione di Porta Nuova, fummo subito avvicinati da un uomo, che ci invitava, a nome dell'associazione che rappresentava, presso corso della Redenzione(ex Stati Uniti), per quella sera stessa. Una carrozza nera ci scortò fino alla camera d'albergo già prenotata e pagata, come mi era stato scritto da Federico: scaricati i bagagli, la carrozza ci portò all'appuntamento. Una volta arrivati, io e colui che presentai come la mia guardia del corpo, fummo accolti calorosamente. Mi presentarono diverse personalità dell'alta società torinese e conversai amabilmente con alcuni di loro per qualche tempo, raccontando o inventando aneddoti sul mio prozio. Tra gli altri, ebbi il piacere di conoscere la contessa Elisa Malan: con lei e altre signorine trascorsi la notte e anche il vecchio Adolf ebbe il suo bel da fare.

Ci riportarono all'albergo spossati, mentre già albeggiava. Io salii in camera, mentre Adolf fu scaricato semi-svenuto fuori dall'albergo. Quando la mattina dopo mi ripresi, notai che, durante la nostra assenza, qualcuno doveva aver trafugato il diario di Nietzsche, che Federico mi aveva affidato e che io avrei dovuto custodire gelosamente. Da quanto avevo avuto modo di vedere, conteneva rune e simboli a me sconosciuti; non era difficile immaginare a chi sarebbe potuto interessare.

Ci recammo dunque alla polizia per sporgere denuncia del furto. Lì avemmo due sorprese, la prima molto piacevole, la seconda decisamente spiacevole. Infatti, mentre stavamo denunciando l'accaduto, con nostro sommo stupore entrarono Celestino e Fra Novella! Con loro c'era un agente grosso quasi quanto Celestino e un contadino, che appena ci vide ci puntò il dito contro, gracchiando: “Sono loro i colpevoli, credetemi! Hanno ucciso loro quel prete!”.

Tutto ciò era accaduto in così poco tempo e molte domande ora ci attanagliavano. Chi aveva rubato il diario? E perché un volgare villico ci accusava di un misfatto che non avevamo commesso? C'era una qualche connessione tra questi fatti? A queste e altre domande avremmo presto dovuto trovare una risposta.

lunedì 14 novembre 2011

Le vie del Signore sono finite...

Non ci fu concesso nemmeno il tempo di rimetterci: appena fummo in grado di ripartire, ci rimettemmo in viaggio per Firenze, dove ci attendeva Frate Ardizzone, il mio Inquisitor. E ce n'era ben donde: sempre la Santa Fede deve essere sostenuta, sempre le eresie crescono e si abbarbicano come edera alle piante, rischiando di soffocare il dolce fico che porta i frutti della Redenzione e della Salvezza.

La nostra missione non era stata un successo completo, ma almeno il Rito non si era compiuto e la Setta demoniaca si era disgregata, perciò rientrammo in Firenze non lieti, ma nemmeno troppo delusi del nostro operato. Del resto, gli Adepti di Satana erano sospettosi: nella villa trovammo persino i nostri ritratti.

A Firenze, del resto, ci attendeva l'Orrore. Sulla strada del ritorno, passammo davanti alla porta dove aveva vissuto il Maestro Laffi: la porta era stata sfondata, sul legno c'era una grossa croce. Il luogo era presidiato dagli excubitores, ma potemmo entrare. All'interno, la scena era tale da generare sbigottimento in chiunque non fosse rotto alle più crude esperienze e/o sostenuto dalla Fede come noi: c'era sangue ovunque, la cameriera era stata sgozzata, e il maestro Laffi era stato crocefisso, utilizzando costole umane in luogo di Chiodi!

Un eretico, un miscredente crocefisso!! Chi, quale creatura, quale essere blasfemo aveva potuto osare tanto? Una simile blasfemia, una simile mancanza di rispetto al Nostro Salvatore!

Fremevo di rabbia, ma la Bestia era già stata punita: ci erano voluti gli sforzi congiunti di numerosi excubitores, alcuni dei quali ci avevano rimesso la vita, ma era stata sopraffatta e uccisa. “Uccisa” non è il termine più proprio: la creatura non era un Morto, ma non era nemmeno un vivo. Piuttosto, la Scannatrice (così la chiamavano) sembrava il frutto di riti blasfemi. E, non a caso, pareva che fosse stata portata in zona da un carro funebre – presenza quanto mai insolita, dal Risveglio!

Quando fummo al cospetto di Frate Ardizzone, c'erano due sorprese. La prima mi riguardava direttamente: nonostante il nostro non brillante successo, il Venerabile Maestro aveva deciso di insignirmi dell'onore e della responsabilità della carica di Inquisitor.

Caddi in ginocchio, come schiacciato dal peso, mormorando “Domine, non sum dignus”, pensando al mio recente peccato, il cui segno per sempre rimarrà sul mio volto. Ma, in fondo, Egli può perdonare anche i peggiori peccatori, e mi era offerta una via di redenzione. Sì, io sarei stato una Spada della Chiesa e uno dei suoi Scudi, per difenderla dai troppi nemici.

La seconda novità, invece, ci riguardava tutti: Frate Ardizzone consegnò a Gioacchino una missiva a lui indirizzata, ed egli si accomiatò.

Gran Brace era morto. Vent-Otto era morto. Gioacchino ci lasciava. Rimanevamo solo io e Fratello Celestino, uniti nella difesa della Vera Fede.

Sapevo che Iddio ci avrebbe dato la forza di continuare la lotta valorosamente. Eppure, dover abbandonare, forse per sempre i compagni con cui, a parte i contrasti, avevo combattuto il Demonio mi lasciava un poco sgomento.

domenica 13 novembre 2011

UN VERO CACCIATORE NON MUORE MAI! LA SUA LEGGENDA SEMPRE VIVRA’

Mi sveglio sudato, eccitato e nello stesso tempo impaurito.

Il mio sogno è così reale: una donna si contorce su di me, anzi su una copia di me. Attorno 3 persone, che quel mio io riconosce come amici. Tutti abbiamo maschere ma i loro volti sono stampati nella mia mente insieme ai loro nomi. Un uomo irrompe nella stanza anche lui mascherato, mi rivolge una domanda. Forse quel mio io era il capo??? “W i diavoli” lui dice e una pallottola lo colpisce in pieno volto.

Otto Von Rokken era l’uomo che ho sognato, il suo ultimo soffio di vita lo sento scorrere in me .. Adolf Stettermajer.

Ora ho un incarico e incontrerò padre Joaquin. Cercherò di contenere la mia furia con la preghiera. Sono felice di proteggere un prete!

Una parola è troppa, due sono poche (fatti i caxxi tuoi che campi 100 anni)

Qual è il giusto prezzo per una parola di troppo, sussurata a una gentile signora, durante la riunione orgiastica di una setta? Ma è ovvio, una pallottola allo stomaco!

Quando il proiettile mi colpì, immediatamente crollai a terra.

Mentre ero riverso in stato di semi-incoscienza, la vita iniziò a passarmi davanti agli occhi: rividi la casa della mia infanzia, i miei genitori e mia sorella... Subito mi riebbi: non potevo certo permettermi di morire, non prima di aver ritrovato e liberato mia sorella!

Tutto questo e altro mi balenò in testa in pochi istanti. Alzai lo sguardo, giusto in tempo per notare che Belzebù puntava la pistola verso Celestino. Prima che fosse troppo tardi anche per il templare, scagliai il mio pugnale contro Belzebù, ma le forze mi stavano abbandonando e mancai il bersaglio. Per tutta risposta, il cultista si voltò verso di me e mi somministrò un'altra pallottola, che miracolosamente non colpì alcun punto vitale. Intanto, sfruttando il diversivo che avevo creato, Celestino guadagnava l'uscita di gran carriera, mentre Balam, l'affiliato che poco prima si era mostrato poco convinto riguardo al rito, aprì il fuoco contro Belzebù, freddandolo all'istante.

Di quel che successe dopo, ho ricordi confusi: il “regicidio” fece esplodere la faida interna alla setta e iniziarono a piovere proiettili tra gli affiliati; in quell'inferno, riuscii a trascinarmi fuori dalla stanza, senza che nessuno potesse badare a me. Presi l'uscita sul retro e trovai riparo dietro a una siepe, dove mi prestai le prime cure, cercando a tutti i costi di rimanere cosciente... Quando cessò ogni rumore dall'interno della casa, attesi ancora qualche minuto e poi mi incamminai verso il più vicino ospedale, che avrei raggiunto solo dopo alcune ore di sofferenza e uno sforzo di volontà immane.

"Ho visto la Morte in faccia..."

venerdì 4 novembre 2011

Vent-Otto è il nostro capo e si chiama Astarotte...

Mi sveglio di soprassalto. Sudato.

Sono ferito. Bendato. Dolorante. Quindi, vivo.

Vivo, quando per un momento avevo temuto di essermi sì svegliato, ma come Morto.

Ignorando le ferite e i terribili dolori che mi causa ogni movimento, mi getto in ginocchio ed innalzo al Signore la più fervente delle mie preghiere, perché ancora ha voluto concedermi tempo per portare avanti la Sua missione. Se mi avesse chiamato a Sé non avrei avuto motivo di dolermi, ma non prima di aver debellato quell'oscuro e blasfemo male che serpeggiava in Terra, nelle sette degli adoratori del Demonio.

Perdona, Signore, questa mia ambizione! So di essere solo un insignificante strumento nelle Tue mani, eppure, come ciascuno dovrebbe, sento profondo il dovere di estirpare il male con tutte le forze che Tu mi concedi.

E forse per questo hai voluto salvarmi ancora una volta, nonostante i miei peccati.

Dopo la prima notte nella Rocca, avevamo avuto un paio di giorni per prepararci alla notte del rito: decidemmo di prendervi parti sotto le mentite spoglie degli affiliati di Firenze, che avevamo sterminato, a quanto di risultava, e dei cui segni di riconoscimento eravamo in possesso. Eravamo convinti che questo fosse il solo modo per arrivare al luogo del rito, sabotarlo e allo stesso tempo individuare gli adepti della setta demoniaca, né ci fidammo delle autorità, temendo collusioni con la setta che aveva dimostrato di essere potente e ramificata.

Procuratici abiti borghesi, ci presentammo alla piazza della Santa Romana Chiesa, il luogo convenuto per incontrare gli adepti degli altri gironi. Qui dovemmo attendere per ore: dapprima fummo avvicinati da un individuo, forse inviato per depistarci, ma solo quando ci si presentò una bimba, secondo quanto scritto nelle lettere da noi intercettate, la seguimmo, la seguimmo sino ad un'ampia magione di periferia, nella quale fummo introdotti da un poco ospitale individuo armato di una doppietta, alla vista della quale allibii: un brivido presago mi percorse la schiena, ma volli ignorarlo. Il tizio ci accompagnò ad uno spogliatoio, ma prima di lasciarci accedere ci chiese le armi, nonostante avessimo fatto del nostro meglio per occultarle. Solo la Colt di Fratello Celestino rimase in nostro possesso.

All'interno, c'erano gli abiti di coloro che ci avevano preceduti: era evidente che alcuni si erano completamente spogliati, altri si erano limitati a levarsi la giacca, altri ancora si erano tolti solo una parte dei vestiti. Condotti da religioso pudore, noi veri o falsi uomini di Chiesa rimanemmo vestiti, mentre Vent-Otto si levò calzoni e mutande, ponendo in evidenza la sua oscena virtù.

Sospirai prima di indossare la mia maschera, quella dell'oscuro Baal, ma sta scritto che gli uomini saranno giudicati dai loro frutti, ed io compievo l'apparente male per un fine buono. Chiedendo perdono a Dio, mi celai dietro quel blasfemo idolo, e lo stesso fecero i miei compagni. Avevamo assegnato, forse sconsideratamente, il ruolo di Astarotte, Demone Sommo del nostro girone a Vent-Otto, ritenendo che fra tutti fosse quello con maggiore familiarità con il Demonio.

Io, invece, presi la Colt.

Appena entrati, però, colui che avrebbe dovuto guidarci fu subito distratto: una donna bellissima, nonostante la maschera che portava sul volto, gli si avvicinò, e subito cominciarono ad intrattenersi sconciamente, con la stessa mancanza di vergogna che dimostrano le bestie. Signore! Ho scritto “donna bellissima”! Forse il mio occhio cadde su di lei in modo impuro? Forse fu questo il peccato che punisti poi con quello che sarebbe accaduto in seguito?

In breve, la situazione precipitò. Cercammo di evitare le conversazioni, per non tradirci, ma spesso fummo in parte costretti a parlare. Un uomo ci avvicinò per testare la nostra fiducia nell'imminente rito, e affermammo di riporvi grandi speranze (eppure, forse, quell'uomo era un oppositore interno alla setta, che avrebbe potuto essere un alleato).

Fu Fratello Gioacchino, però, a commettere l'errore decisivo allorché, conversando con una donna che pure già aveva provato a verificare la nostra identità fingendo di confonderci con la setta di Bologna, le disse che tale comportamento “non era da lei”, quando evidentemente non si erano mai visti.

Da questo momento, la situazione precipitò rapidamente. La donna sparì, poco dopo rientrò nella stanza accompagnata da un uomo il cui volto era coperto dalla maschera di Belzebù: era il sacerdote più elevato. Entrambi avevano in mano pistole, e le puntavano contro Fratello Gioacchino. Anche l'uomo con la doppietta era entrato da un'entrata posteriore.

Colui che si faceva chiamare Belzebù interpellò Vent-Otto, che ancora non aveva concluso la sua sconcia attività, chiedendogli quali fossero i sistemi di selezione degli affiliati della setta di Firenze. Egli rispose sconsideratamente: “Fra i più devoti adoratori del Demonio!”.

Un colpo diretto alla sua fronte, precisissimo, pose immediatamente fine alle sue pene (ed ai suoi peccaminosi godimenti) terreni. Fratello Gioacchino fu pure immediatamente colto da un secondo proiettile, in pieno petto, e si accasciò esanime.

Io e Fratello Celestino rimanemmo un momento sconcertati, ma subito comprendemmo di trovarci in una situazione quasi disperata. Io mi gettai fuori da una vicina finestra, ma commisi l'errore di voltarmi invece di correre direttamente ad avvertire le autorità: lo sparo della doppietta mi investì, mi accasciai in terra, convinto di morire, con in bocca una preghiera estrema ed un ringraziamento per quanto mi era stato concesso. Vidi confusamente Fratello Celestino fuggire, lo benedissi, caddi in quella che credevo essere la morte.

Mi sbagliavo.

Fratello Celestino si era reso conto che per me non era ancora finita, mi sollevò a forza, io mi ripresi, camminando come in trance, sostenuto dalla Fede molto più che dalle mie misere forze mortali, quasi senza rendermene conto riuscii ad allontanarmi. Ci imbattemmo (come mi fu raccontato: io non rammento nulla di queste ore) in un gruppo di excubitores di ronda, spiegammo la situazione. Io persi di nuovo i sensi, e fui condotto nello Spedale nel quale ora mi trovo. Fratello Celestino, invece, sano, tornò alla magione con rinforzi, ma non trovò nessuno di vivo: c'erano solo i cadaveri, ridotti in pezzi inoffensivi, di Vent-Otto, l'uomo che portava la maschera di Belzebù e di quello armato di doppietta. Nessuna traccia di Fratello Gioacchino: che si fosse salvato anche lui?

Probabilmente, nonostante tutto, il rito era fallito, non grazie a noi, ma ad un regolamento di conti interno alla setta.

Il Signore ci aveva usati per distrarre il capo dei blasfemi da ciò che si preparava per lui, in modo da far fallire il suo proposito blasfemo, ma allo stesso tempo non aveva voluto che noi, peccatori e indegni, fossimo innalzati nella gloria.

Il più inveterato dei peccatori aveva posto fine alla sua esistenza, ma evidentemente anche nei nostri cuori albergava il peccato. Forse non avevo io stesso osservato con occhio non colmo di disprezzo quella donna ignuda? Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa!

Forse non ci eravamo affidati proprio a Vent-Otto? Quale follia ci aveva ottenebrato la mente?

Quanto ci era accaduto era soltanto un avvertimento inviatoci dal Signore: saremmo potuti morire tutti nell'impresa, e, quel che è peggio, fallire il nostro scopo.

Sia lode alla Sua infinita saggezza!

Ma sta scritto che “Se dunque il tuo occhio destro ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via da te; poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che vada nella geenna tutto il tuo corpo”.

Ecco, dunque, io ora, qui, me lo cavo, perché mi sia di monito per il peccato in cui sono caduto, e ciò mi dissuada dal farlo ancora in futuro! Tutto a maggior Gloria del Signore!

domenica 23 ottobre 2011

Verso Ravenna


È davvero meraviglioso riempirsi gli occhi con le manifestazioni di Fede che naturalmente emanano dal popolo non appena viene estirpata l'eresia! Quale prova migliore di come i cuori degli uomini siano naturaliter cristiani cattolici, se non vengono deviati e oppressi dalla falsa dottrina?
Così, non appena avemmo concluso il nostro sacro dovere con Don Avati ed i suoi accoliti, fummo circondati da tutti gli abitanti di S. Ezechiele tranne una (che aveva voluto ringraziare in particolare con Vent-Otto, alla maniera dei peccatori), e, festanti, si unirono a noi per una messa notturna, di quattro ore, che volli celebrare io stesso. La prima consacrata dopo anni. Quei volti, così commossi all'udir parlare di giustizia Divina, avevano qualcosa di soave, di meraviglioso. Il loro pentimento appariva così puro che abbandonai ogni proposito di soffermarmi ad indagare se ci fosse qualcuno da condannare al rogo, anche perché maggiori impegni ci chiamavano altrove, a Ravenna.

Il popolino avrebbe voluto trattenerci, mi offrì di rimanere come loro curato , e lo esprimeva in ogni modo, con suppliche, ma sta scritto che i servi del Signore non devono fermarsi mai in un luogo più del necessario ad adempiere la missione che è stata loro assegnata. Così sfuggiamo i rischi della vanagloria, perché nell'esaltazione sarebbe troppo facile dimenticare che siamo solo polvere, e polvere ritorneremo (anche ora).
Dovemmo quindi rifiutare, e ci rimettemmo in marcia verso Ravenna, con la promessa di inviar loro un prete conforme alla purezza dei loro animi.

La strada non era né bella, né comoda, anche a causa delle recenti piogge, ma appariva relativamente sicura, e così fu sino a sera, quando riparammo in un avamposto del dazio, per una sera tranquilla e non priva delle piccole soddisfazioni che allietano i giusti. Il luogo era custodito da alte mura, un pugno di uomini e da Don Ballinzoni, un buon uomo, che nonostante fosse forse troppo liberale (inorridii quasi al sapere che l'uomo che, per aver bestemmiato durante una partita a carte, era appeso quale monito nella Gabbia del Pentimento per alcuni giorni pasteggiava quotidianamente con pane e acqua), riusciva a mantenere un contegno decente perfino nella taverna. Qui io e Fratello Celestino chiacchierammo con alcuni avventori, mentre Fratello Gioacchino e Vent-Otto si ritirarono in camera. Considerato che l'oste aveva una figliola, ho guardato a tale scelta del nostro Germano come un indizio che il Signore, forse anche accompagnandolo con pii sodali, gli avesse toccato il cuore.
Fratello Celestino parò per un po' con un sedicente tenente americano, cacciatore di morti fuoriuscito dalla temibile banda del Generale Moore a causa di dissidi con i troppo brutali e poco onorevoli modi del suo capo; io scambiai alcune parole con un mercante itinerante, ma non ne carpii alcuna informazione utile, salvo che anche l'Illustre Inquisitore Claudio Maria Tandrelli (Frate Ruina) si aggirava in quelle zone.

Al mattino, riprendemmo il  nostro viaggio per Ravenna, e vedemmo con mano quanto ricca d'insidie sia la vita dell'uomo, che anche quando si sente sicuro può essere toccato dalla sorte, e quindi non deve mai indugiare nel peccato, ma sempre essere vigile come una vergine che, con la lampada, attende la sposa.
Due morti stavano percuotendo la porta di un carro scarlatto, semirovesciato sul ciglio della strada. I cavalli giacevano in terra, già dilaniati. Senza porre tempo in mezzo, ci lanciammo in soccorso dei vivi che, evidentemente, si trovavano all'interno del veicolo. Vent-Otto era così desideroso di mostrare la superiorità del suo fucile, che dimentico di non essere un buon cavaliere sparò un colpo che, oltre ad andare a vuoto, compromesse seriamente la sua stabilità, e solo per buona sorte non ruzzolò nel fango.
Nel frattempo, io e Fratello Celestino eravamo giunti corpo a corpo. La carica del Templare fu devastante, in pochi secondi rese inoffensivo un Morto, mentre io faticai un po' di più nello sbarazzarmi del mio (del resto i Templari sono il braccio armato di S. Madre Chiesa, noi Inquisitori abbiamo il compito di indicare la retta via), anche per via delle pallottole di Vent-Otto che fischiavano intorno, fortunatamente senza colpirmi, e di ciò ringrazio Iddio, perché pretendere che colpissero addirittura il mio avversario sarebbe stato troppo, a meno che Santa Barbara stessa non le avesse guidate.
Appena fu tutto finito, dal carro emersero un teatrante e suo figlio, colmi di gratitudine. Il teatrante era anche un ottimo artigiano delle maschere, e per sdebitarsi riparò la maschera demoniaca che i miei compagni di strada avevano trovato rovinata. Purtroppo, non seppe dirci nulla che già non sapessimo su di essa.
Ci accompagnammo sino a Ravenna, dove ci separammo: il teatrante si indirizzò da suo padre, che lì risiedeva, noi ci indirizzammo alla Rocca templare, dove Fratello Celestino fu accolto con ogni onore, mentre Vent-Otto in quanto peccatore, ed io in quanto Inquisitore, fummo relegati in una casupola esterna.
Da una parte il mio cuore fremeva d'ira per l'arroganza dei Templari, che scioccamente perseguono la divisione fra coloro che dovrebbero essere fratelli in Fede, come se la lotta contro il Male che alberga nel mondo potesse essere condotto da loro soli, e non da tutti gli uomini pii e di buona volontà assieme. Ma, dall'altra, capivo i loro cuori accecati dall'orgoglio e dai pregiudizi contro gli Inquisitori, che troppo instancabilmente predicano e indicano e all'occorrenza impongono financo con il fuoco la via della virtù, e sta scritto che i servitori di Cristo saranno odiati a causa del Suo Nome.
Ma, quando oramai la sera era già calata, comparve fra noi, nella casupola, portando un gran vassoio di cibo, Fretello Celestino.
La Fede unifica e fortifica i virtuosi, oltre i simboli che recano sul petto.
C'è speranza.