martedì 16 agosto 2011

Il mostro

E' con umiltà e devozione che io, fratello Joaquin o Gioacchino se preferite, mi accingo a proseguire il racconto principiato da fratello Ariosto. E nella mia narrazione cercherò la semplicità e fuggirò la verbosità, perché Dio ama i semplici e perché ciò conviene a un degno servitore di Dio quale mi sforzo d'essere.
Dopo aver assistito a quell'eresia mascherata da santa messa, il nostro gruppo si divise. Fratello Celestino, saldo nella fede e per nulla impressionato da quanto aveva visto e udito, si recò in chiesa, nella speranza di incontrare Don Ferrino e da lui carpire qualche informazione in più su donna Carmela e padre Cosimiro. In chiesa – ci raccontò poi – la sua attenzione fu catturata dalla statua in legno di un angelo, a cui era stata portata via la testa; dopo aver beneficiato per qualche momento del ristoro spirituale offerto dalla casa di Dio, si ricongiunse a noialtri.
Nel frattempo anche Sakasà si prodigava per la causa, anche se a modo suo. Per prima cosa decise di sfruttare l'oscena virtù di cui spesso si vantava (padre perdonalo per la sua empietà!), che per quanto nascosta dai calzoni, risultava comunque evidente ai più. Ciò gli conferiva un particolare ascendente sulle donne; ah donna, flagello dell'uomo, che lo distogli dalla preghiera e dalla coltura dello spirito e lo induci ai piaceri carnali!
Facendo dunque leva sul dono che il signore gli aveva concesso, Otto poté porre diverse domande ad alcune donne e per questo si attirò le minacce di un excubitor. Successivamente ci raccontò di aver conosciuto un individuo singolare di nome Renato, il quale, avendolo preso in simpatia, lo aveva invitato a casa sua; una volta lì, dopo avergli amichevolmente sparato con il suo archibugio, mancandolo per miracolo, gli aveva parlato di urla agghiaccianti avvertite nottetempo e di terribili «bbestie» (con due b), che erano tanto pericolose quanto all'apparenza innocue. Infine, Renato aveva condotto Sakasà nella sua cantina, rivelandogli l'esistenza di una rete di cunicoli sotterranei che percorrevano l'intera città; tendendo l'orecchio, il nostro aveva potuto avvertire, flebile ma distinto, un suono lugubre, come di lamenti in lontananza.
Intanto, mentre Fratello Ariosto «Granbrace», tallonato dagli excubitores, si recava anch'egli in chiesa per tentare invano di ottenere chiarimenti sul rito eretico, io reggevo per quanto possibile la nostra copertura, somministrando agli abitanti placebo in luogo dei vaccini promessi. Proprio mentre ero intento a quest'attività, ebbi come una visione: d'un tratto nella mia mente si affastellarono immagini confuse di gallerie fiocamente illuminate e poi una statua lignea di un angelo privata della testa.
Una volta ricomposto il gruppo, a cui si era unito fratello Pasqualino (da dove fosse giunto e quando non so dirlo... è proprio vero, le vie del signore sono infinite!), tosto decidemmo di agire. Su suggerimento dell'inesauribile Otto scendemmo in cantina, dove scovammo il passaggio per un cunicolo di cui non si intravedeva il termine. Lo imboccammo: il possente Fratello Celestino avanzava per primo, brandendo sicuro Libera nos a malo, la sua enorme expiator; seguivano Granbrace, armato della non meno letale Agnus Dei, Otto, quindi io, che impugnavo saldamente le mie pistole e intanto recitavo mentalmente delle preghiere, e infine fratello Pasqualino, che ci copriva le spalle con spada e scudo. Avanzammo risoluti seppur consci del pericolo, sentendo avvicinarsi sempre più il lamento che già aveva udito Otto nella cantina di Renato.
Quando eravamo ormai prossimi alla fonte del suono, scorgemmo la fine della galleria: davanti a noi le scale che, con tutta probabilità, ci avrebbero riportato in superficie, fuori da quel buco claustrofobico; sulla destra invece l'ingresso ad una stanza: era da lì che proveniva il tremendo lamento! Ci avvicinammo cauti e guardammo oltre la soglia: nella penombra della luce fioca torreggiava l'abominio. Era un essere mostruoso, un aggregato di più cadaveri alla cui sommità era posta una testa d'angelo in legno. Quella visione terrificante era la personificazione del maligno, negazione dell'ordine di Dio in terra e per ciò stesso andava distrutta.
Subito Celestino e Granbrace si gettarono nella pugna d'un sol uomo, menando fendenti spaventosi; le loro armi però spesso si inceppavano, lasciando respirare il mostro. I miei proiettili per contro andavano a segno quasi sempre, anche se non erano molto efficaci. Ma il nostro cuore era saldo e Dio era con noi: affrontammo l'immonda creatura con coraggio e infine riuscimmo a decapitarla.
Ancora ansanti per lo sforzo, ci giunse all'orecchio il rumore di passi che scendevano le scale e a momenti ci avrebbero raggiunti. Di chi si trattava?
Link dell'immagine (http://www.grupponox.it/)