sabato 24 dicembre 2011

Memento Mori


Il re nero era immobile, seduto sul suo trono. L'alfiere e i due cavalli raccontavano, come un fiume in piena le ultime vicende accadute. Erano terrorizzati, più per la reazione del loro signore che per gli accadimenti. Il re nero restava immobile, senza proferire parola alcuna, poi, dopo l'annuncio del rogo di Cavour prese la parola:” Com'è possibile, che 4 individui, tra cui uno schizofrenico ed un estremista religioso, siano riusciti a mettere in scacco la mia organizzazione? Avevo ordinato a Saluzzo di eliminare il nipote del filosofo e invece me lo ritrovo sempre in mezzo...””Vede mio sire abbiamo...”l'urlo perentorio del Re mise fine alle scuse che l'alfiere tentava di porre. “Silenzio e basta con queste idiozie, che fine a fatto la mia torre? E' lui il traditore? Quel maledetto tedesco la pagherà cara, voglio la sua testa, chiaro?” velocemente gli individui lasciarono la stanza, tirando un sospiro di sollievo per essere sopravvissuti, poi, da una porta secondaria, giunse lei, la bellissima Regina bianca: “Mio signore, cosa vi rende così adirato?” sussurrò la donna con una voce soave. “Niente, Caterina. Ma dimmi, come può un uomo potente come me temere quel falso prete, discendente di Nietzsche?”La donna gli si avvicinò, posizionandosi alla sua sinistra e riprese a parlare:” Mio Signore, nessuno può contrastare il vostro potere e poi finchè io sarò al vostro fianco voi sarete immortale...” Un sorriso macabro apparve sul volto deturpato del Re Nero, ma nessuno poté vederlo...

La furia di Novella


È un vero mistero come il Demonio trovi tanti adepti in Terra, quando è scritto chiaramente nei Vangeli e nell'Apocalisse che il loro presunto Idolo malefico è destinato alla sconfitta da parte del Giusto, ed essi non potranno che ardere per sempre nella loro dannazione.
Non per questo, però, noi uomini di Chiesa dobbiamo essere intransigenti con loro: “punire il peccato, salvare il peccatore” è il nostro credo. Per questo, prima di arderli vivi in espiazione delle loro colpe, pretendiamo il pentimento (ed è ben piccola cosa il rogo di un momento di fronte a quello eterno)(accidenti come sei poetico, ndr)
Eppure, ci sono scellerati che ci chiamano “ottusi”. Uomini che a volte camminano con noi. Ci chiamano ottusi, invece di ringraziarci. “Ottusi”, quando essi stessi si sono allontanati dal luogo d'indagine, senza nessun costrutto se non quello di farsi accusare di tentato assassinio (e poi, ovviamente, tocca a noi “ottusi” salvarli, e se non sacrifichiamo a questi scellerati i nostri principi la prendono a male); senza nessun costrutto, se non quello di essere quasi uccisi senza estrema unzione, se noi “ottusi”, sempre noi, non li avessimo fatti seguire da un valoroso inviato (chi Joaquin? Pure valoroso è diventato?, ndr), conoscendo l'inettitudine di codesti pretenziosi, che, accecati dall'orgoglio, non riescono a distinguere il saggio dallo stolto, il retto dall'errato.
Ma sono certo che, presto o tardi, Adolf si getterà nell'ennesima follia, e non troverà la mano salda di un “ottuso” a salvarlo, così come siamo soliti. La mia speranza è che, prima, si sia pentito di cuore. Ma, se è vero che “quos deus perdere vult dementat prius” (coloro che Dio vuole perdere, prima li fa impazzire NdA), Adolf sembra già sulla buona strada...di certo è già stato accecato dall'individualismo più sfrenato. Oppure, ci sta tradendo.
La mia preoccupazione è che, presto, le sue azioni scellerate e incontrollate ci possano mettere in guai tali da risultare irrisolvibili.

Salvato, comunque, per l'ennesima volta Adolf dalla sua scelleratezza, ci siamo avviati verso Grinzane Cavour, il luogo di provenienza di troppe bottiglie di vino trovate nelle case dei Decussi e di coloro che erano collusi con loro.
Fummo accolti con una certa gentilezza dal prete del luogo, palesemente inetto, che probabilmente credette alla nostra storia, secondo la quale eravamo di sosta nel viaggio verso la Liguria, e ci portò subito dal Barone, nel castello: costui era un vero e proprio cafone, ma non privo di una certa ferina scaltrezza, perché, pur ordinando di accoglierci (come avrebbe potuto esimersi, davanti all'autorevolezza di un Inquisitore e di un Templare?), si attivò subito per occultare le sue blasfeme attività, come presto avremmo scoperto.
Mentre stavamo cenando, più che egregiamente, con il prete, infatti, il mio olfatto sviluppato percepì un odore peculiare, un fumo greve. Guardando dalla finestra, vidi che un comignolo del castello fumava più nero degli altri, pur nella penombra. Non appena il nostro ospite si assentò un attimo, lo comunicai ai miei compagni, e decidemmo di compiere una discreta ispezione, con la scusa di un'innocente passeggiata. Invece, individuata una finestra non sorvegliata, scivolammo dentro il castello, e presto, procedendo in direzione del caminetto che fumava, arrivammo alle stanze del Barone. Adolf fu il primo a vederlo: era solo e stava bruciando dei documenti. Ovviamente, non pensò all'ipotesi di agire di squadra per catturarlo: preferì fare irruzione nella stanza e, quando il Barone provò a fuggire, non trovò di meglio che sparargli. Adolf sostenne di avergli voluto colpire le gambe per impedirgli la fuga, ma ciò risulta poco credibile, dato che usò il fucile a canne mozze, e difatti uccise il nobiluomo, che cadde dalla finestra. Io mi dispiacqui per l'uomo, perché non ebbe tempo di pentirsi. Ma, forse, avrebbe confessato qualcosa che Adolf non voleva che sapessimo...
Nella stanza, comunque, non trovammo molto: il Barone aveva fatto in tempo ad ardere una gran mole di documenti, salvammo solo alcune lettere, già bruciacchiate, che ci riguardavano: il Re Nero ordinava di ucciderci, era interessato a Joaquin, e intimava di punire la parte deviata della setta liberando la Creatura (evidentemente, la Scannatrice). C'era anche una lettera a nostro favore, nella quale si diceva di rimandare la nostra condanna; mentre le altre erano scritte a macchina, però, questa era vergata da una mano femminile.
Qualcuno, dunque, ci proteggeva nell'ombra? Forse la sorella di Joaquin, che da sempre egli va cercando?
Non c'era tempo per analisi e disquisizioni: da fuori provenivano urla disperate, il Barone si era già risvegliato come Ferox, molti combattenti faticavano a tenergli testa. Scendemmo verso il piano terra, con l'intenzione di aiutare i vivi, ma notammo una scala che portava ai sotterranei: il nostro dovere ci imponeva di non trascurare quella pista, ora che la confusione ce la apriva. Come avremmo potuto immaginare data la vocazione enologica della zona, la cantina era colma di botti. Non tutte, però, servivano a far fermentare il vino: sospettosi, bussammo su tutte, fino a trovarne una vuota. La aprimmo, con un meccanismo segreto, e presto ci ritrovammo in una stanzetta ottagonale. Nel centro, in un sarcofago rituale, giaceva la Scannatrice, inattiva. Subito io e Fratello Celestino ci gettammo su di lei e la riducemmo a brandelli senza che lei si muovesse: senza un apposito rito che la risvegli, una Scannatrice è solo un inerme fantoccio.
Poco lontano trovammo un'altra stanza rituale, ma purtroppo i libri magici erano stati asportati. Ne avevamo abbastanza per denunciare la setta: risalimmo, scassinammo la porta della stalla nella quale era tenuto (lo avevamo immaginato) il carro funebre, e, presi alcuni cavalli, ci dirigemmo verso Torino, lontano dalle guardie che, fatto a pezzi il Barone, ci cercavano.
Tornammo poche ore dopo alla testa di un gruppo di Templari, che mi permisero di installare, come mio sacro diritto, un tribunale inquisitorio per giudicare gli eretici.
Dodici soldati e servitori del Barone risultarono, ad ogni evidenza, colpevoli di aver seguito l'eresia del loro signore per interesse. Dopo una breve tortura lo confessarono e dissero di essersi pentiti. Spero per loro che fossero sinceri. Li condannai al rogo.
Il prete inetto, che confessò (con poche sberle di Fratello Celestino) di aver appoggiato il Barone per interesse, in cambio della sua nomina a prete, ma negò di sapere della setta, ebbe una pena più lieve: trenta frustate. Sono al limite della sopportazione, per un uomo della sua costituzione: sarà il Signore a giudicare se egli dovrà sopravvivere.
Ai contadini, mi limitai a prescrivere un mese di penitenza e preghiera.
I Templari mi chiesero di processare anche Adolf, che in mezza giornata li aveva portati a completa esasperazione, ed in effetti si poteva condannare come indemoniato. Ancora una volta deve la sua vita a un ottuso, in quanto gli offrii la possibilità di votare la sua vita alla Chiesa, come converso. Forse, oltre al corpo gli salverò anche l'anima.

Quando ci allontanammo, dodici roghi stavano ancora arrossando il cielo con gli ultimi bagliori.

mercoledì 21 dicembre 2011

Vivono tra noi


Stolti uomini di chiesa!
Un villaggio li accogli, un po’ di gente li esalta, un prete li ospita. E’ una scena già vista a San Ezechiele. Ora siamo a Vicus Novus ma è solo cambiata la regione… la storia NO! Loro si fanno abbindolare da due filastrocche di chiesa e si danno alla festa e alla gioia. Le mie personalità multiple sono in subbuglio… qualche cosa non va! Il mio istinto mi dice di agire.
Lascio tutti festeggiare, e mi allontano. Uscendo un’ombra attira la mia attenzione e capisco che qualcosa non va. Non ho tempo di avvisare gli altri, il coraggio e l’abilità non mi mancano, l’istinto mi dice di agire.
Seguo l’ombra e ad un tratto un palazzo esplode. Un muro crolla e vedo macchinari per la stampa. Come pensavo questi paesani con un po’ di ospitalità cercavano di renderci ciechi.
Ma ad Adolf non lo si fotte!!!( e lui a fottere, ndr.)
Ad un tratto tutto passa in secondo piano Heinrich corre fuggendo dalla casa. Lui è dietro tutto questo! Lo inseguo la resa dei conti è arrivata.
Ad un tratto, non so come sia stato possibile, lui riesce a prendermi di sorpresa. Mi sento afferrare per il collo è sollevare. Lo guardo e mi domando come è possibile mi abbia preso alla sprovvista e soprattutto come faccia a sollevarmi con tanta facilità. Inizia a mancarmi il fiato e sento la sua mano gelida. E’ UN MORTO!
Non so che creatura sia, ma ormai la mia vita e perduta. Dice che si è stufato che il nostro gruppo lo intralci.
Ad un tratto una voce amica arriva alle spalle di Heinrich, è Joaquin che gli punta la pistola alla testa! Gli intima di lasciarmi. Un esplosione rompe lo stallo e Heinrich mi scaraventa con una forza inaudita e non umana e fugge.
Torniamo al centro del paese. Sono sconvolto. I paesani sono furiosi con me, mi accusano di aver ferito Giancarlo. Non sanno e non possono capire che è stato Heinrich. Accenno la mia storia a Novella e Celestino, ma Novella è troppo preso dalla sua teologia e non vuole accettare di perdonare la menzogna di Don Beppe che in cambio ci promette di lasciarci andare via del paese senza problemi. Per di più per ogni minuto che passa da un vantaggio a Heinrich. E’ troppo ottuso per capire che un morto pensante e pericoloso è libero di girare su questo mondo.
Dopo una trattativa estenuante e la mia vita appesa solo alla sua scelta in quanto i paesani volevamo linciarmi finalmente trova un compromesso. E’ tardi comunque ritrovare Heinrich sarà difficile…
L’unica parte di me felice è il numero 66 il predicatore jugoslavo Anton Sparlovic che sogna una società senza distinzione tra vivi e morti dove tutto è eterno (vedi. Post “Ne resterà soltanto UNO”). Anton ritiene che se nessuno si è accorto che Heinrich è un morto magari come lui ce ne sono altri. Forse alcuni di questi possono diventare nostri amici e compagni.
Che bellezza sapere che “vivono tra noi”

lunedì 19 dicembre 2011

L'intrepido Fra Novella


Esiste il concetto di male maggiore e male minore, oppure il bene e il male si oppongono? Se incontriamo sulla nostra strada un male che appare minore, è legittimo trascurarlo perché ne vogliamo punire uno che ci pare più grave? Molti risponderebbero senza dubbio, ma è proprio con la teoria del male più grande che il Demonio trascina molte anime nel peccato, e se noi Inquisitori stessi ci lasciamo deviare dal nostro incarico di tutelare la moralità degli uomini e la purezza della loro osservanza ai precetti della Santa Romana Chiesa Cattolica Apostolica Romana, non forniremo l'apparente legittimazione a tali devianze?
Ma, d'altro canto, il male ed il peccato sono così diffusi che punirli tutti è superiore alle forze umane, e ve ne sono alcuni che possono portare ruine tremende. Dunque, l'uomo saggio potrà legittimamente fermarsi a punire altre brutture meno gravide di conseguenze, a rischio di trascurare i peccatori peggiori?
Il problema non è puramente accademico, e fu anzi sul punto di bloccarci, anche con il fascino stesso di siffatte discussioni dottrinali.

Dopo aver visitato i due anziani insegnanti e il loro disgraziato figlio senza avere trovato traccia della stamperia, prendemmo parte alla vita di parrocchia, mentre pensavamo a come proseguire la nostra ricerca di quanto rimaneva della stamperia. Il clima era piacevole: la popolazione era straordinariamente colta, come livello medio, e sembrava genuinamente religiosa. Io e Fratello Celestino fummo addirittura, nel corso di una cena conviviale, attorniati da torme di infanti che sognavano chi di entrare nei Templari, chi di farsi Inquisitore. Solo Adolf sembrava non gradire la compagnia, e decise di uscire dalla stanza nella quale eravamo ospitati. Non fidandomi di lui, ed essendo trattenuto da Don Beppe, chiesi a Joaquin di seguirlo, ma non avrei pensato che la sua uscita ci avrebbe causato tanti problemi.
Poco dopo, però, udimmo un'esplosione poco lontana. Tutti ci precipitammo per strada, e fummo subito guidati dalle luci vivide di un incendio che stava divorando un edificio non lontano. C'era un leggero odore di benzina: l'incendio era doloso.
Già molti paesani si stavano adoperando per domare le fiamme, e noi davamo una mano, sinché dal rogo uscì un uomo ferito: era Gian Carlo, l'insegnante con il quale avevamo parlato nel pomeriggio. Egli si teneva il ventre, e ci puntò contro il dito: «E' stato l'uomo che era con lui a ferirmi! A dare a fuoco tutto!»
Parlava di Adolf. Molti ci guardarono storto, e se non ci linciarono fu solo per il vestito che portavamo, e per l'emergenza del momento. In quel momento, l'edificio crollò: dentro, erano conservate le macchine da stampa, oramai inservibili per il rogo.

Pochi minuti dopo io, Fratello Celestino e Don Beppe ci trovavamo in una stanza della Canonica, temporaneamente al sicuro dalla folla.
«Tu!» lo accusavo «tu infanghi l'abito sacro che porti! Hai mentito ad un Inquisitore nei suoi legittimi sospetti! Hai occultato un'attività di stampa che produceva libri all'Indice, da Pinocchio ai volumi blasfemi di sette!»
Il peccatore sosteneva di essersi così comportato per preservare la cultura (cosa che invero gli era riuscita, nel paese), e di lavorare su commissione per sostenere le spese. Perché stampare, mi chiedevo, anche testi non sacri? Lo scellerato metteva in dubbio perfino la giustezza dell'Indice! Dubitava dell'operato di nostra Santa Madre Chiesa! Era abominevole, eppure vedevo che non agiva così per cattiveria. Non per questo poteva restare impunito.
Purtroppo, era in una posizione di forza per via della folla che ci attendeva fuori dalla porta. In quel momento tornarono Joaquin e Adolf, raccontando di essere stati aggrediti da Heinrich (come diavolo si chiama???): era stato lui, quindi, a ferire Gian Carlo e a bruciare la stamperia? Facile a credersi per noi, non certo per chi non sapeva dei sosia.
Tuttavia, Don Beppe colse subito l'occasione di mercanteggiare la sua impunità, proponendoci di chiudere un occhio sulle sue attività in cambio della possibilità di uscire vivi dal paese (con una minaccia molto poco velata!) (se chiudi un occhio come farai???)
Fratello Celestino fu da subito incline ad accettare, sostenendo che il pericolo del sosia di Adolf fosse molto più pressante di una stamperia oramai bruciata, e così la pensava anche Adolf (salvo durante uno dei suoi soliti cambi di personalità), ma io non potevo venir meno al mio compito di perseguire l'eresia.
Adolf, peraltro, farneticava: sostenne addirittura che, data la forza dimostrata dal suo sosia, questi fosse in realtà un morto. Cosa assurda, visto che aveva dato più volta prova di una certa intelligenza: messo davanti alla contraddizione, non seppe cosa rispondere. Fratello Celestino e Don Beppe, in realtà, affermarono misteriosamente di avere una possibile spiegazione, ma non vollero rivelarmela. Probabilmente volevano solo confondermi.

Restammo per tutta la notte a fronteggiarsi, Fratello Celestino con la teoria del male minore, io rifiutandomi di lasciare impunito un eretico. Non avrei voluto mandarlo al rogo, le sue intenzioni erano buone, ma avrei almeno preteso un pentimento ed una pena, sia pure lieve. Ma Don Beppe pretendeva la mia parola e garanzia d'impunità per lasciarci andare.
Ad un tratto, Fratello Celestino decise di uscire, ed io feci lo stesso, data l'oziosità della conversazione, ma Fra Beppe ordinò alla folla di lasciar passare solo il templare, a meno che io non dessi quella parola e promessa di menzogna che un uomo pio come me non può dare.
Ero disposto al martirio piuttosto che a cedere.
Ma avrei preferito evitare il martirio, se possibile: devo ancora servire il Signore. Mi riunii ancora a colloquio con Don Beppe, e a quattr'occhi( a tre, vorrai dire!) fu ben più accondiscendente. Accettò di pentirsi, e come penitenza di lasciare i suoi fedeli e amati paesani: una pena leggera, lo ammetto, ma non così difforme dalla colpa, e confacente alla situazione. Infatti, Don Beppe dichiarò alla folla esultante che avevo promesso di non denunciare nessuno, e che d'altro canto aveva ragione di reputare Adolf innocente del ferimento (non grave, per fortuna) di Gian Carlo, così potemmo andarcene tutti assieme.
La nostra nuova meta era Grinzane Cavour, da dove provenivano tante, troppe bottiglie trovate in possesso di personaggi vicini ai Decussi. Anche a Don Beppe ne erano state donate alcune, in occasione un una stampa di un libro all'Indice...che non era certo Pinocchio.

Caccia ad Heinrich


La figura di Heinrich turba la mia psiche. Sento la sua presenza, per poco non lo avrei localizzato a Torino, peccato che Celestino mi abbia urtato e mi abbia fatto perdere la concentrazione.
Da quando ho visto Heinrich non riesco a controllare le mie personalità. Nella città di Vicus Novus non so cosa sia capitato, il numero 15 l’inquisitore Angelo Demort ha preso il sopravvento. Avrei voluto bruciare la città solo perché c’era la possibilità che ci fosse una stamperia blasfema. Avrei arso vivo e impalato una povera famiglia solo perché indagati e non si ritenevano colpevoli della stampa del Dies Irae recuperato. Se si fossero confessati colpevoli li avrei arsi e impalati comunque.
Spero che questo momento di instabilità passi.
Ho paura di non poter trattenere il numero 13, Marcelus Fon Blud, anche soprannominato il macellaio di Praga. E’ un perfido e losco individuo che uccide per il solo gusto di farlo. Ama violentare le sue vittime, squartarle a colpi di accetta e eseguire atti di cannibalismo. Non ha motivi, non ha ritegno, non ha controllo, non ha fede, soffre di balbuzia e appare timido, ma tutto scompare quando uccide.
E’ feroce come un lupo affamato ma nulla è più pericoloso di un lupo travestito da agnello….

domenica 11 dicembre 2011

Vicus Novus

Nella vicenda torinese, benché il rischio più grave fosse oramai scongiurato, rimanevano ancora alcuni punti da acclarare. In particolare, ci turbava quella stamperia di libri proibiti che, a quanto ne sapevamo, era stata installata a Vicus Novus, un paesino a circa quindici chilometri da Torino. Decidemmo di recarvici già il mattino dopo la notte dell'assassinio del Cardinale, dopo aver parlato con Pautasso, e, per una volta, di seguire una procedura standard, tanto più che avevamo l'indirizzo della presunta stamperia.

Mi presentai dal Parroco, Don Beppe, con la mia patente di Inquisitore, spiegando la mia esigenza di perquisire la sede dell'indirizzo. Il brav'uomo fu disponibile, pur assicurandoci che il luogo non era sede di una stamperia, ma semplicemente la residenza di due persone dabbene, nonostante avessero avuto la disgrazia di un figlio poco savio.

Devo riconoscere che Don Beppe fu davvero paziente, perché Adof era veramente molesto, quel giorno, forse posseduto da personalità diverse, e lo stesso Jaoquin non riusciva a dominarlo mentre farneticava di roghi da appiccare a tutta la popolazione, senza nemmeno un giusto processo. Credo che dovremmo valutare l'ipotesi di un buon esorcismo a quel ragazzo e valutare se portarlo ancora con noi.

In effetti, i due proprietari della casa all'indirizzo in nostro possesso sembravano due ottime persone, due ex docenti proprietari di una vastissima biblioteca, nella quale, però, non spiccavano testi proibiti. Ci spiegarono che, prima della guerra, Vicus Novus era stata sede di una importante stamperia, che però era stata distrutta dai bombardamenti, sicché gli abitanti avevano una grande abbondanza di testi (anche Don Beppe ne vantava un'ampia collezione). La stamperia, però, non aveva mai ripreso a lavorare, o almeno così dicevano.

Eppure, il marchio era proprio quello che avevamo trovato sui libri proibiti. Fra questi, c'era anche il Sine Requie, stampato nel 1953

venerdì 9 dicembre 2011

Extra Ecclesiam nulla salus

Dopo la morte di Gesù, i sacerdoti farisei chiesero a Pilato «[Mt 64]Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: E' risuscitato dai morti. Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima!»

Questa richiesta prova, chiaramente, che sin dalla morte terrena di Cristo c'era chi voleva confondere i Fedeli. Ma se allora costoro erano increduli, in seguito anche i malvagi si dovettero arrendere di fronte alla Verità: non per questo, però, cessarono di ordire inganni, senza risparmiare nemmeno il Salvatore. Noi uomini di Chiesa siamo saldi abbastanza per non cadere negli ingenui trucchi dei malvagi e del Demonio, ma dobbiamo preservare dall'inganno anche chi ha meno saggezza e consapevolezza di noi.

Io stesso fui chiamato a tale dovere.

La notte stessa dell'assassinio del Cardinale, essendo stati scacciati dal suo palazzo, ci dirigemmo verso i sotterranei della Mole, dove – così avevamo intuito date le leggende sulla sacralità blasfema di quel luogo, che lo rendeva caro ad eretici e sette – probabilmente si incontravano gli adepti della cellula torinese dei Decussi, che ordivano trame dai contorni ancora indefiniti ma minacciosi.

In realtà, la Mole Antonelliana (o quel che ne restava, dopo i bombardamenti e l'incuria che merita un tempio israelita) appariva tranquilla, dal di fuori, nella sua nuova funzione di magazzino. Eppure, io sentivo ancora quel canto, quella nenia che già avevo udito nella notte in cui ispezionammo il Museo Egizio: probabilmente, era la setta riunita, che cantava il proprio distorto senso del sacro.

Fu però Joaquin a trovare l'accesso ai sotterranei, attivando una leva occultata nelle forme di una statua troppo nuova e troppo profana per essere realistica: si trovava in un vicolo, e un muro lì vicino si apriva su una scalinata che portava nelle viscere della terra, ai cunicoli che un tempo erano serviti a difendere la città. Scendemmo di almeno una quindicina di metri in un'oscurità appena diradata dalle nostre candele, sempre più giù, sempre procedendo in direzione della Mole, sino a quando non trovammo un cunicolo segnato da sporadiche candele. Lo seguimmo, ignorando le diramazioni, sebbene in una di esse avessi intravisto balenare una figura che mi pareva fosforescente. Ma era tempo di affrontare la setta, e poco ci spaventava un individuo barcollante, rotto dalla sua stessa malattia.

Giungemmo così ad un ampio sotterraneo, dove finalmente Nuntium Gaudi e Liberanosamalo avrebbero potuto avere la massima efficienza. Lo spettacolo era preoccupante: in un recinto, erano abbandonati un gruppo di infanti piangenti; poco oltre, c'erano i membri della setta, una ventina, attorno ad un individuo che pareva il capo, mascherato, assiso su un trono vicino ad un sarcofago che – non faticavamo ad indovinarlo – era quello trafugato dal Museo. Egli celebrava un successo imminente, sostenendo che il contenuto del sarcofago avrebbe loro permesso di fare a meno del Re Nero (ossia il capo dei Decussi) e di dominare e abbattere persino la Chiesa.

Non potevo permetterlo. Extra ecclesia nulla salus: non c'è salvezza, non c'è vita al di fuori della Chiesa.

Non facemmo in tempo ad agire: dietro di noi udimmo armarsi il cane di una doppietta, ci girammo di scatto, era l'uomo fosforescente. In un lampo, Joaquin fece per sparargli, ma la pistola si inceppò. L'uomo esplose il suo colpo, ferendo Joaquin e, in minima parte, Fratello Celestino. Ma non poté usare il secondo proiettile: lanciò un urlo, una costola gli uscì dal ventre. Dietro di lui c'era la figura orrenda di una Scannatrice.


Il mostro toccò appena Joaquin e Celestino, scaraventandoli lontano: per fortuna, non cercava noi e passò oltre. Puntò dritto sul capo della setta, che, tolta la maschera, somigliava moltissimo alla Contessa Malan, pur essendo un uomo di cinquant'anni. Probabilmente, era il Conte che aveva finto la morte, ma aveva fatto male ad inimicarsi i vertici della sua stessa setta, degli stessi Decussi che ora gli mandavano contro i loro mostri.

«Ah! In effetti avevo avuto la visione di un carro funebre, entrando qui», esclamò Adolf «ma non sembrava proprio una cosa importante, così non ve l'ho detto».

Non c'era tempo per insultarlo. Io mi precipitai al sarcofago, mentre la Scannatrice faceva scempio del Malan e inseguiva gli altri adepti: qualunque cosa ci fosse dentro, così pericolosa per la Chiesa, dovevo distruggerla.

Stranamente, il sarcofago aveva foggia egizia, ma non iscrizioni geroglifiche, bensì greche. Subito riconobbi il monogramma di Cristo.

Non ebbi il tempo di agire, perché comparvero Federico, il contatto di Joaquin, e un altro: essi si presentarono come Marco e Paolo, ed io risposi loro come Mattia. I vecchi nomi da seminario. Solo io e Celestino rimanemmo con loro (e questi solo su precisa richiesta e con voto di silenzio), per aiutarli ad aprire il sarcofago.

Dentro, c'era un uomo incredibilmente ben conservato, benché fosse evidentemente morto da tempo (e stranamente non risorto nonostante le sue condizioni). Ciò che era più eccezionale, però, era la sua somiglianza con Nostro Signore Gesù Cristo. Era evidente che non poteva essere lui, visto che i Vangeli affermano chiaramente che era risorto nella carne: qualcuno aveva mummificato, forse con tecniche egizie, un uomo che gli somigliava in modo straordinario, proprio per ingannare i meno saldi nella Fede, dando loro ad intendere che Gesù non era risorto, e che quindi il Cristianesimo non aveva fondamento.

Quell'opera del demonio andava, evidentemente, distrutta, o qualcuno avrebbe potuto lasciarsi ingannare (perfino Celestino vacillava, ed ebbi l'impressione che perfino Marco e Paolo pensassero che nel sarcofago ci fosse il vero corpo di Cristo). Per fortuna, avevano portato con loro molta dinamite.

domenica 4 dicembre 2011

Libri occulti

Curiosa espressione umana, l'amore carnale ed erotico, ed è certo per il meglio che Paolo consigliò a chi vuole dedicarsi al Signore di astenersene, ed è un bene che la Santa Romana Chiesa Cattolica Apostolica continui a chiedere tale rinuncia ai suoi sacerdoti, a differenza di tanti cristiani eretici. Esso svia, porta alla follia, al favoritismo, in definitiva a derogare dalla propria missione, che è e sempre sarà di amare il prossimo senza distinzioni, come facciamo noi della Santa Inquisizione.

Si guardi Adolf: mentre noi passammo il resto della notte al convento, senza neppure tentare di rintracciare l'uomo che era fuggito, perdendosi fra le nebbie, egli a rischio della sua stessa vita, aveva voluto seppellire la strega “senza fare scempio del suo corpo”. Era un pericolo, ma nessuno di noi aveva avuto cuore di impedirglielo: del resto, se la sua concezione dell'amore consisteva nel condannare la sua donna ad una fame perpetua nel chiuso di una tomba sigillata, o ad essere uno spaventoso obbrobrio in cerca di carne umana privo di senno anziché darle la pace con un pietoso rogo che cancellasse la sua maledizione. Non è questa follia?

È una vera fortuna che, come insegna la Santa Chiesa, non esistano i morti senzienti, altrimenti una donna eretica e senza dubbio per molti versi straordinaria come quella, avrebbe avuto buone possibilità di risorgere nella forma di uno di questi pericolosissimi abomini. Mi stupisce che i miei compagni (i quali – lo so – in fondo al cuore nutrono tale superstizione) non abbiano provveduto a fermare Adolf.

Ad ogni modo, Adolf tornò vivo, il che lasciava pensare che avesse effettivamente seppellito la sua defunta amata, ma rimase sostanzialmente inattivo, come un burattino svuotato, per tutta la giornata.

Noi, intanto, avevamo perquisito il monastero, trovando un'altra copia del De monarchia demonica, il che ci lasciò immaginare che questa setta fosse affiliata proprio alla Societas diaboli con cui ci eravamo già scontrati. Occultato in un muro, con ogni evidenza da decenni, c'era ancora uno strano libro blasfemo, composto da una pagina bianca e una nera, che Joaquin individuò come il libro del Bianco e Nero. Probabilmente si trovava lì perché il monastero di Crea è situato in un logo che molte sette ritengono magico. Strana, invece, la modalità di ritrovamento: Celestino lo scoprì quasi in trance, come per un occulto richiamo. Il che la dice lunga su quali influenze e quali strani riti circolino fra i Templari, che pure sono per molti versi un valido sostegno alla Chiesa.

Ripartimmo dunque alla volta di Torino, dove giungemmo senza problemi. Raccontammo la nostra storia alle autorità, nella persona dell'omuncolo che aveva sostituito Pautasso, ovviamente omettendo alcuni particolari. Avremmo voluto conferire con il Cardinale, confidando che non fosse colluso con la setta, ma era in riunione con il suo pari grado di Genova: ci avrebbe ricevuto, ci fu detto, in seguito.

Mentre attendevamo, ci recammo da Pautasso, il quale non aveva novità rilevanti, ma ci disse dove trovare il cameriere che aveva soccorso lo strano individuo fosforescente. Ci recammo al bar nel quale lavorava, ma ci fu riferito che era sparito da alcuni giorni. Decidemmo di andare a cercarlo a casa sua, nella zone periferica della Vanchiglia: il suo appartamento dava su un cortile interno. Bussammo.

Nessuna risposta.

Bussammo più forte.

Ancora, nessuna rispota.

A questo punto, Fratello Celestino decise di “bussare” ancora un poco più forte, ed entrammo nel piccolo appartamento attraverso la porta sfondata. Un ragazzo, tremante, con in mano una patetica gamba di tavolo quale arma, era rannicchiato in un angolo, terrorizzato. Per rassicurarlo, gli dissi che facevo parte della Santa Inquisizione, Joaquin gli spiegò di essere membro del Sant'Uffizio e Fratello Celestino dei Templari. Come non fidarsi?

Era, ovviamente, il cameriere, che ci confessò di essere terrorizzato: la donna che, con lui, aveva raccolto l'uomo era sparita misteriosamente. Lui aveva avuto un colloquio con il Cardinale in persona, che si era fatto consegnare le spaventose foto di bambini trovati sul corpo dell'uomo fosforescente, e gli aveva intimato di tacere. Glielo intimammo anche noi.

Certo, era un bell'enigma capire cosa volesse quell'uomo che, barcollando (evidente per la malattia, che secondo Joaquin era un morbo tipico delle fabbriche di fiammiferi, causato dalle sostanze tossiche di cui si fa uso): forse voleva mettere in atto un ricatto, con quelle lettere?

Proprio questo morbo avrebbe potuto fornirci un successivo indizio: investigare sulle fabbriche di fiammiferi, oramai in disuso, dei Malan. Ma non era l'unica pista: il contatto di Joaquin ci aveva rivelato il luogo di stampa dei libri blasfemi che avevamo trovato, e non era lontano da Torino, per la precisione nel piccolo borgo di Vicus Novus. Infine, volevamo indagare sui sotterranei torinesi della zona della Mole.

Ma, prima di prendere ogni successiva iniziativa, volevamo conferire con il Cardinale, sicché ci recammo al suo palazzo.

Con nostra sorpresa, non solo non ci fu concesso di entrare sul momento, ma ci fu chiaramente dato ad intendere che non avremmo avuto la possibilità di conferire con il Cardinale nemmeno in seguito. Dopo poche proteste, ci allontanammo: in fondo, se egli avesse perso interesse a noi saremmo stati, almeno per il momento, più liberi di agire. Ma ci preoccupammo molto di più quando, alzando gli occhi per caso, Joaquin ebbe la ventura di vedere due ombre dietro la finestra dell'ufficio del Cardinale: una era quella di Sua Eminenza, l'altra sembrava proprio quella del nostro Adolf. O di Otto. O, come era probabile, del suo misterioso sosia che sembrava agire con molta influenza, sempre malvagia, a Torino.

Ritornammo sui nostri passi per cercare di raccogliere qualche informazione, quando improvvisamente il palazzo si animò di una innaturale confusione e concitazione, di cui approfittammo per intrufolarci dentro.

Qualcuno aveva attentato alla vita del Cardinale, forse era agonizzante,

Forse, già morto.

Una lama da la vita, una lama la toglie...

Mi ero innamorato. Lei, la strega, era e sarà sempre bellissima. Il destino mi ha portato a incontrala avrei voluto passare più tempo con lei. Dal primo momento ho capito che era speciale. Gli altri confabulavano per liberarla. Io volevo agire.

Dal manuale del cacciatore : “se parli predica, se agisci caccia. Il prete predica, il cacciatore caccia. Non puoi cacciare parlando … la preda fugge”

Nella notte le passai il mio coltello senza farmi vedere. Le permisi di fuggire e rifarsi una vita, magari con me, quando l’avrei rincontrata. Lei riuscì a scappare stordendo non si sa come Celestino e pugnalando uno dei tizi che ci accompagnavano. Si rifugiò in una grotta.

Io solo la trovai per prima. Mi bastava il fiuto per la mia preda(chissà cosa hai fiutato???).

La vidi, lei allargò le braccia e giacemmo. L’idillio lo ruppe solo padre Novella. Uno strillante e ottuso nano da giardino. In quel momento di tensione le mie personalità non si controllarono e senza sosta variavano il mio atteggiamento.

Dopo una lunga discussione decidemmo comunque di consegnarla al convento. Joaquin mi ridiede il coltello che aveva usato la “mia” donna. Io volevo salvarla. Capii subito che i preti non erano preti, appena li vidi mi chiamarono Heinrich, la mia copia che ormai sono sicuro mi abbia incastrato. Nella notte anticipammo l’imboscata dei frati facendo una strage.

Il loro capo aveva però la mia amata come prigioniera. Padre Novella sparò per colpire il frate impostore, nel frattempo lanciai il coltello mirando allo stesso bersaglio. Sfortunatamente il colpo di Novella andò a segno facendo muovere il prete. La lama che aveva dato la libertà alla strega la colpì recidendole la giugulare.

Ora porto il suo corpo esanime tra le braccia. Lo sotterrerò nel bosco. Non posso squartarla. Voglio che viva per sempre. Il mio io, il predicatore Anton Sparlovic il numero 17 mi sta guidando.

Conserverò il coltello, lei “rivivrà” e ci ricongiungeremo alla mia morte in una “nuova vita”….