sabato 26 ottobre 2013

Il mistero del castello...



Confidando in Colui che vigila sopra la nostre teste e senza il consenso del quale non cadono dodici passeri, nonché nella buona fede dei nostri ospiti, io andai a dormire sereno nella vecchia stalla in disuso che ci era stata assegnata, ma non tutti seguirono il mio esempio, procurandoci non pochi guai. Joe, con la sua mania per la Jeep, rimase sotto una tettoia, il mezzo in vista, mentre la pioggia scrosciava tutto attorno.
Credo che anche altri siano rimasti svegli perché quando, dopo un sonno troppo breve, ancora nel cuore della notte, fui svegliato da uno sparo, ero rimasto solo nella stanza. Mi affacciai alla porta, e subito capii che tutto era sotto controllo: in caso contrario, il Capitano non sarebbe stato tranquillamente in piedi in mezzo al cortiletto. Joe aveva appena mostrato tutto il suo eroismo quasi riuscendo nell'impresa di ammazzare un pericoloso bimbo con un colpo di mitraglia: la sua versione dei fatti era di aver visto un'ombra, di averla seguita e di averle sparato (secondo la sua versione accorgendosi appena in tempo che si trattava di un bambino, più probabilmente aveveva clamorosamente sbagliato mira), per poi vedere il misterioro (e basso) individuo scoppiare in lacrime dicendo fra i singhiozzi che voleva solo vedere da vicino un soldato americano.
Prima che la situazione potesse diventare imbarazzante, dato che era sopraggiunta anche la ronda armata della comunità, un fatto inquetante prese prepotentemente la scena: si udirono delle urla femminile, una risata sgraziata, ed ecco una luce che si muoveva apparendo e scomparendo dalle finestre del piano di mezzo.
Improvvisamente, sparì.
Tutti ci precipitammo sul posto, ma sembrava che il portatore del lume fosse sparito. Tutti, tutti avemmo la stessa intuizione: girando il lampadario sul muro esterno si apriva uno stretto passaggio segreto, che costeggiava il muro. Senza por tempo in mezzo, ci slanciammo dentro, uno alla volta; tutti tranne Kartoffern, che si trascinò a fatica nel corridoio, visto che, alto e robusto com'è, ci passava appena. Facemmo appena in tempo a vedere il lume balenare lontano.
Diversi altri ingressi al passaggio si susseguivano a intervalli irregolari, e Joe ebbe quasi modo di proseguire la sua crociata contro gli infanti: aprì, infatti, una porta che a suo avviso si trovava nel punto in cui era svanito il lume e, scoperto che dava su una stanza di donne e bambini, pensò subito che i colpevoli delle sparizioni e della “maledizione” del castello fossero questi ultimi. Chi altro, del resto, avrebbe potuto passare agevolmente per quell'angusto passaggio (nel quale noi stavamo camminando tranquillamente, peraltro...).
Riuscimmo a dissuaderlo dal fare giustizia sommaria e seguimmo ancora il percorso del passaggio segreto, che si concludeva su un'ampia scalinata di collegamento interna (non seguiva dunque il muro di cinta). Proprio alla fine del passaggio, però, si trovava una stretta scala a chiocciola che scendeva verso gli scantinati: non potevamo che calarci dabbasso.

venerdì 18 ottobre 2013

L'Old Sir Jonson



La mattina dopo ripartimmo, Joe e la fanciulla davanti (e pareva davvero che costei avesse rapidamente dimenticato il fidanzato morto) in moto, noi tutti dietro con la Jeep. A metà pomeriggio arrivammo in vista di un vecchio aeroporto militare, che perquisimmo meticolosamente senza però trovare altro che una vecchia carcassa di caccia, dalla quale riuscimmo comunque a ricavare un po' di carburante. Molto più utile fu l'auto nera che passò sulla strada vicina a noi, mentre stavamo compiendo le nostre ricerca: Lise la riconobbe, era una sorta di tassì corazzato che faceva la spola fra le varie comunità di sopravvissuti dell'Inghilterra meridionale, e che già aveva aiutato lei ed il suo moroso buonanima a spostarsi dopo il loro sbarco. I due conducenti furono molto gentili; con loro trattammo in modo da ricavare benzina in cambio dei fucili trovati nella casa dei cannibali, e in più ci regalarono un paio di informazioni: evitare Canterbury, dove si trovava una sorta di abominio composto da centinaia di cadaveri, e recarsi per la notte in una vicina comunità che si era insediata in un antico castello.
Li seguimmo entrambi, e del resto Lise aveva già trascorso qualche tempo con loro: erano organizzatissimi, considerati i tempi. Al nostro arrivo ne diedero prova, sgominando con un sistema di trappole, e senza rischi, un gruppo di morti che li stava attaccando. Furono ospitali: ci accolsero fra di loro e ci offrirono di condividere il loro cibo nella mensa comune. È meraviglioso trovare ospitalità e gentilezza in una terra così desolata. Solo Joe decise di non fidarsi e di rimanere a piantonare la Jeep, sicché la tenera Lisette gli portò un piatto di zuppa.
Notammo che erano, però, tristi e malinconici (e uno, storpio, in particolare era completamente pazzo: il Pagano e Kartoffen gli parlarono a lungo, immagino senza costrutto). Ne domandammo il motivo, e scoprimmo che una maledizione gravava, a loro avviso, sul castello.
Figuriamoci: su ogni castello inglese grava una maledizione, a sentir gli abitanti! Negli anni erano scomparse alcune donne e ragazzine, in seguito ritrovate morte, forse dopo qualche rito: l'ultima era stata, per esempio, una fanciulla scomparsa e ritrovata a mesi di distanza, legata ad un comignolo e appena uccisa (non era ancora rianimata). Francamente, sembra surreale parlare di maledizione quando ci sono morti redivivi ovunque, ma la questione sembrava turbare particolarmente gli abitanti.
Impartii una benedizione, recitai una preghiera e andammo a dormire.

sabato 12 ottobre 2013

Lo scherzo di Kartoffen



Eravamo tutti molto fieri del nostro operato: non capita tutti i giorni di eliminare non tanto un gruppo di cannibali deformi (e comunque per fortuna non ce ne sono molti in giro), ma soprattutto un morto così orrendo e feroce, rimanendo magari un po' feriti, ma vivi. La ragazza che avevamo liberato, che disse di chiamarsi Lise, fu molto grata per la liberazione a tutti tranne che a uno: Kartoffen. 


Il suo ribrezzo per la divisa – ed il passato – da nazista era più forte del sollievo per la salvezza: troppe ne aveva patite dai maledetti crucchi, prima e dopo l'Apocalisse. Era infatti una partigiana francese, che da più di dieci anni combatteva per la liberazione della sua patria dai tedeschi, e, a quanto ci narrò, Parigi era ancora contesa e divisa a metà da un muro. Ci raccontò infatti notizie inaudite sul continente: la Germania era retta da una dittatura feroce, in Italia era tornato un papato di stampo controriformistico, e le due potenze erano ora rivali (al punto che l'Italia appoggiava i partigiani francesi). Nulla si sapeva dell'URSS, ma pareva che fossero i soli due Stati organizzati.
Lise era tornata in Inghilterra con il suo fidanzato (ossia il morto che avevamo trovato sulla strada non lontano dalla casa) a recuperare dei parenti e tentare di andare tutti assieme al transatlantico verso gli USA. Dato che quella era la sua meta, le offrimmo di unirsi a noi, cosa che fece di buon grado.
La sera consumammo parte del cinghiale rimasto: il Capitano aveva saggiamente deciso di sfruttare la casa per la notte. Molto meno saggiamente, Kartoffen pensò di giocarci uno scherzo nel cuore della notte, gridando l'allarme senza che nulla fosse accaduto. A dire il vero, fu Lise a dire che non era accaduto nulla, sostenendo di essere sveglia, ma siccome una bellissima ragazza è più credibile di un vecchio  nazista traditore, decidemmo tutti di fidarci di lei e, quando Kartoffen, finito il turno, si addormentò, gli giocammo il vecchio scherzo delle botte con le calze piene di pietre.

giovedì 3 ottobre 2013

Scontro con l'Atrox di nonna Amelia



Intanto, il Capitano era arrivato alla finestra, ma non fece in tempo a fare nulla: una furia, una vecchia donna oramai morta ma straordinariamente veloce lo colpì alla spalla, facendogli cadere la bomba e gettandolo al suolo. La morta avrebbe potuto finirlo, invece rientrò in casa e dopo un istante ne uscì, precipitandosi a velocità impressionante verso me e Joe. Io rimasi un istante interdetto dalla mostruosità dell'essere: un istante di troppo, perché quella cosa percorse in un amen la distanza di venti metri e mi fu addosso, assestandomi un colpo tale da spezzare di netto l'elmetto e proiettandomi contro un albero, stordito e con la testa che perdeva sangue copioso (Tiro distanza dalla morte passato alla prima estrazione, con Joe che aveva appena finito di dire:” Vediamo il tuo dio adesso”).

Che stavano facendo gli altri? Io e Joe da soli non avevamo speranza. Il Capitano aveva pensato bene di disinteressarsi alla questione e di entrare nella casa dove, come scoprimmo in seguito, finì i due moribondi da me colpiti, più un terzo individuo e si intrattenne a consolare la fanciulla prigioniera.
Il pagano, invece, dopo aver sistemato alla bell'e meglio la gamba di Kartoffen, si era appostato a venti metri da noi e, vedendoci in difficoltà, si mosse per raggiungerci. Il crucco, invece, era rimasto a fare a pezzi i due primi colpiti sul sentiero, prima che si risvegliassero, con il tomahawk che l'indiano gli aveva consegnato con mille raccomandazioni di cura. Vedendo la cosa in corpo a corpo con Joe, sentendosi incapace di raggiungerlo in tempi brevi date le ancora preoccupanti condizioni della gamba, penso bene di scagliare in nostra direzione l'ascia da guerra indiana.
Ecco che accadde l'imprevisto: il pagano si trovava sulla traiettoria, prese al volo il tomahawk, e divenne come indemoniato, gli occhi di bragia, un filo di bava dalla bocca, incapace di emettere versi più che ferini. Incuteva paura quasi quanto la cosa che ci aveva aggredito e che già aveva ferito anche Joe. L'arrivo del pagano, che mulinava furiosamente la sua ascia, cambiò la situazione: la morta era incalzata dall'indiano, dalla mia spada, dal machete di Joe, e in breve tempo perse la testa e un braccio. Ma non smetteva di attaccare, furiosa.
Aveva però colpito, insieme all'inguine di Joe, anche la borraccia nella quale era tenuta della benzina, della quale si sparse. Joe smise di colpire con il machete, e gettò il sigaro acceso sulla morta: un gran fuoco purificatore pose fine alla sua scellerata esistenza.