sabato 1 febbraio 2014

L'oro di Kartoffen

Bisognava ammettere che, data la dipartita di Kartoffen, si era liberato un posto in auto e il nuovo venuto condivideva con il crucco almeno alcuni aspetti, come la grande disponibilità al tradimento e alla diserzione, visto che, pur appartenendo fieramente (a suo dire) al corpo dei bersaglieri, si riprometteva di non tornare mai più in patria, e come l'appartenenza alla schiera dei nostri nemici nella guerra mondiale.
Baracca giurò di essere disposto a dare la vita per noi se l'avessimo preso nel gruppo (ma rifiutò ogni ipotesi di pagamento anticipato), colpì una lattina con una scarica di mitra, dimostrando insieme la sua precisione e la sua scarsa astuzia, visto che aveva consumato metà caricatore per impressionarci, asserì di conoscere bene le vie, mostrò un prezioso orologio d'oro appartenuto a suo padre, un caro ricordo che era prontissimo a barattare con un biglietto per gli USA, infine ci prese per sfinimento e (anche grazie alla corruzione a suon di tabacco operata verso Joe) accettammo di portarlo con noi.

La prima tappa fu il paese nel quale sapevamo che Kartoffen aveva occultato l'allora suo, ora nostro tesoro: non era lontano e quasi sulla via per Lisbona: ci arrivammo in poco più di un'ora.
Lo scenario era inquietante: il paese era disabitato e ridotto a macerie come molti altri nelle terre perdute, ma fra le rovine pareva annidarsi qualcosa di malvagio. Mirammo diritti alla piazza principale, nella quale si trovava la fontana sotto una lastra della quale Kartoffen aveva riposto il tesoro. Trovammo subito il nascondiglio: la botola era spalancata e lo scomparto desolatamente vuoto. Joe dichiarò che certo Kartoffen non poteva essere stato così ingenuo da non prevedere un doppio fondo, invece risultò che era stato così ingenuo. Per un attimo Joe valutò l'ipotesi di tornare al Louvre per accertarsi che la morte inflitta dal micio a crucco fosse abbastanza dolorosa, ma non avevamo tempo.
Improvvisamente, udimmo un rumore provenire dal Municipio, che si trovava proprio davanti alla fontana. Occupammo l'edificio con una rapida e brillante operazione militare: era vuoto. C'era solo una radio. L'accendemmo, e subito cominciò a gracchiare un messaggio: era una comunità di sopravvissuti che abitava in un paese lì vicino e posto proprio sulla strada per Lisbona, su una montagna, e che asseriva di avere abbondanza di armi e viveri, nonché di essere disposta ad accogliere chiunque.
In altre parole: una chiarissima esca per chissà quale trappola.
Quando, poche ore dopo, passammo in prossimità del paese dichiarato, notammo una serie di drappi rossi inerpicati per una via di montagna e che chiaramente indicavano l'itinerario per raggiungere la comunità. Ci fermammo lì giusto il tempo per fare a pezzi tre morti (due civili e un tedesco in divisa, che dal foro alla tempia pareva chiaramente essere stato giustiziato: ma che diavolo ci faceva così lontano dalle sue linee?), per perquisirli senza trovare nulla di utile e per rimirare il paesaggio mozzafiato.
Poi ripartimmo. Chissà se avevamo fatto bene a ignorare il villaggio? Facilmente erano loro ad avere il tesoro di Kartoffen, ma forse, in quanto americani, saremmo stati imbarcati senza che ci fosse richiesto il prezzo del biglietto.

E poi il Signore ha prescritto di vivere in povertà, che diamine!

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